Naomi Klein |
Canada, i no global contro Trudeau. Naomi Klein: «E' un falso profeta»
L'aitante premier accumula like sui social network con i suoi selfie a torso nudo ma è sotto accusa per le promesse non rispettate su indigeni e difesa dell'ambiente
«Shameful@JustinTrudeau», vergognoso. È racchiusa in una sola parola, lanciata nel cyberspazio con un tweet dalla guru no global Naomi Klein, la fine della luna di miele — se è mai cominciata — fra la sinistra canadese e il telegenico, «super glamourous» primo ministro che ha fatto innamorare il mondo intero con i suoi selfie e i suoi muscoli. L’occasione, formalmente, è il visto negato dal governo di Ottawa a decine di attivisti invitati (e mai pervenuti) al XII Forum sociale mondiale che per la prima volta ha debuttato nell'emisfero settentrionale, per di più in un Paese del ricco club dei G7. Nelle ambizioni degli organizzatori, il summit che si chiuderà domenica a Montreal doveva essere un ponte fra Nord e Sud, nei fatti si sta rivelando una scommessa persa. Creata nel 2001 come antitesi movimentista al Forum economico mondiale, che riunisce ogni anno a Davos il Gotha della finanza, la «piattaforma aperta» quest'anno è andata quasi deserta. Pochi partecipanti, seminari e conferenze con tante sedie vuote.
L’autrice di «No logo»
Colpa di Trudeau, «finto profeta» liberal, secondo la Klein, divenuta famosa nel 2000 per il saggio No logo, «La Bibbia del movimento anti globalizzazione», scrisse il New York Times. Il governo canadese, accusa la scrittrice, avrebbe negato il visto di ingresso a centinaia di attivisti stranieri, applicando rigorosamente il severo iter burocratico. A farne le spese, anche l’ex ministra del Mali Aminata Traoré, candidata alla successione del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. «Una macchia sulla reputazione del Canada come Paese aperto e ospitale», ha commentato Carminda MacLorin, una degli organizzatori.
Visto negato
L’Ufficio immigrazione ribatte che le richieste sono arrivate tardi. Trudeau invece tace e continua a godersi le vacanze con la famiglia. Per lui parlano le foto «rubate» sulla spiaggia che lo mostrano a torso nudo, più o meno tonico, ancora con la fidata tavola da surf fra le mani alla bell'età di 44 anni. L’immagine ha fatto strage di like sui social network. E ha fatto infuriare ancor di più la sinistra radicale.
«Meno liberal di quanto dice»
Justin — abile mix di John Kennedy, Barack Obama e Brad Pitt — è un prodotto del nuovo marketing politico o un leader che farà scuola nella «governance» planetaria? Insomma, «ci è o ci fa»? Se lo chiedono in tanti, e non solo i no global. Come suo padre, l'ex premier Pierre Elliott Trudeau, è molto abile a sfruttare i media per coltivare la sua immagine di leader progressista e illuminato. I dieci anni del suo grigio predecessore, il conservatore Stephen Harper, lo hanno aiutato. Ma su Internet imperversa in questi giorni un articolo, ritwittato anche da Naomi Klein, dal titolo rivelatore: «I cinque modi con cui il “femminista” Justin Trudeau “Parla a sinistra e governa a destra”». Dall'accordo da 11 miliardi di dollari, firmato in aprile, per la vendita di armi all’Arabia Saudita alle postine di campagna pagate il 28 per cento in meno dei colleghi di città, i proclami del premier vengono messi a dura prova dalle politiche (o dall'inerzia) del suo governo.
La mega-diga in British Columbia
Ma è sull'ambiente e sulla difesa dei diritti dei Nativi (o Prima nazione come sono chiamati in Canada) che il premier rischia una bocciatura senza appello. Il suo governo si è impegnato a finanziare con 300 milioni di dollari la ricerca sull'energia pulita e ha pure digerito lo stop Usa all'oleodotto per il trasporto del petrolio estratto dalle sabbie bituminose, ma altri mega-progetti vanno avanti. A luglio, ha dato via libera alla costruzione di un'enorme diga idroelettrica sul fiume Peace, in British Columbia, che inonderà 5.500 ettari di terra agricola e sommergerà 78 siti sacri agli indigeni.
La delusione della Prima nazione
Contro il progetto da 9 miliardi di dollari si è mossa la Klein e anche Amnesty International, ma le accuse più brucianti arrivano proprio da quegli indigeni che fino a qualche settimana fa erano onnipresenti nei selfie di Trudeau. «Speravo che tenesse fede alle sue promesse, ma dice una cosa e ne fa un’altra», commenta amaro Roland Willson, capo delle Prime nazioni di West Moberly.