Sarebbe stato un terribilebombardamento di meteoriti, avvenuto 4,2 miliardi di anni fa, a
forgiare e formare la crosta terrestre. Questa l'ipotesi che
spiegherebbe l'origine delle enigmatiche rocce, ricche di
silice, trovate in Canada, in quella che è la più antica
formazione rocciosa terrestre. Lo spiega il gruppo della Curtin University di Perth sulla rivista Nature Geoscience, che
presenterà lo studio domani a Boston alla Goldmischmidt Conference.
Le alte temperature necessarie a fondere la crosta terrestre
poco profonda sarebbero quindi state causate da una pioggia di
meteoriti caduta circa mezzo miliardo di anni dopo la formazione
del pianeta. Tutto ciò avrebbe sciolto la crosta ricca di ferro
e formato le rocce di granito che ci sono tuttora sulla Terra.
Il nostro pianeta, ai suoi albori, 'indossava' un manto composto
principalmente di rocce scure, povere di silice (dette mafiche).
Le rocce trovate in Canada sono invece ricche di silice (o
felsiche).
"Il nostro modello dimostra che queste rocce derivano
dallo scioglimento di quelle pre-esistenti, basaltiche e ricche
di ferro, che si sono formate sugli strati più alti della crosta
della Terra primitiva", precisa Tim Johnson, coordinatore dello
studio. Secondo i ricercatori le rocce originali, povere di
silice, devono essersi parzialmente sciolte a basse pressioni.
Ma per generare le prime rocce ricche di silice deve esserci
stato un evento così potente e speciale da generare temperature
di 900 , come appunto il riscaldamento causato da un
bombardamento di meteoriti. "Pensiamo che le rocce nello strato
meno profondo della crosta terrestre si siano sciolte producendo
le rocce che vediamo oggi - conclude -. Queste antiche rocce
felsiche devono essere state molto comuni, anche se dopo 4
miliardi di anni e lo sviluppo delle placche tettoniche, non ne
rimane quasi nessuna". (fonte: ANSA)
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martedì 14 agosto 2018
venerdì 29 giugno 2018
Da Montreal arriva il mantello che copre la luce
L'Istituto Nazionale per la Ricerca Scientifica di Montreal ha realizzato quello che può essere definito come un dispositivo che nasconda gli oggetti alla vista manipolando le frequenze della luce che li attraversano, una sorta di 'mantello
dell'invisibilità' in stile Harry Potter.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Optica. La maggior parte delle precedenti soluzioni funzionavano alterando il percorso della luce, facendole aggirare l'oggetto invece di attraversarlo. I ricercatori guidati da José Azana invece hanno elaborato un nuovo metodo: se l'oggetto riflette la luce verde, ad esempio, il dispositivo elimina solo la frequenza corrispondente, per poi ricostruire il fascio di luce com'era inizialmente dopo che ha attraversato l'oggetto, rendendolo invisibile.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Optica. La maggior parte delle precedenti soluzioni funzionavano alterando il percorso della luce, facendole aggirare l'oggetto invece di attraversarlo. I ricercatori guidati da José Azana invece hanno elaborato un nuovo metodo: se l'oggetto riflette la luce verde, ad esempio, il dispositivo elimina solo la frequenza corrispondente, per poi ricostruire il fascio di luce com'era inizialmente dopo che ha attraversato l'oggetto, rendendolo invisibile.
venerdì 25 maggio 2018
Gli astronomi di Toronto scoprono i dettagli di una pulsar
Prima
osservazione dettagliata di una pulsar, una stella estremamente
densa e compatta che emette segnali radio a intervalli regolari.
Distante 6.500 anni luce dal Sistema Solare, la stella si chiama
PSR B1957+20 ed è stata vista grazie a un tecnica così raffinata
da essere confrontabile a un telescopio che dalla Terra riesca a
vedere una pulce su Plutone.
I dettagli dell'osservazione sono pubblicati sulla rivista Nature. Coordinati da Robert Main, gli astronomi dell'Università diToronto, dell'Istituto canadese di Astrofisica Teorica e del Perimeter Institute canadese hanno osservato la pulsar in orbita intorno a un'altra stella compagna, fredda e dalla luce debole: una nana bruna avvolta da una nube di gas e polveri. "Il gas ha agito come una magnifica lente posta di fronte alla pulsar, ingrandendola e aiutandoci a osservarla in dettaglio", ha spiegato Main.
La pulsar, hanno sottolineato gli autori, ruota molto rapidamente: più di 600 volte al secondo. La nana bruna compagna, con un diametro che è circa un terzo del Sole, si trova a circa due milioni di chilometri dalla pulsar, attorno alla quale compie invece un orbita completa in più di nove ore. Secondo gli astronomi canadesi, "la pulsar è destinata a poco a poco a sottrarre materiale alla compagna", fino a quando non l'avrà consumata del tutto. (fonte: ANSA)
I dettagli dell'osservazione sono pubblicati sulla rivista Nature. Coordinati da Robert Main, gli astronomi dell'Università diToronto, dell'Istituto canadese di Astrofisica Teorica e del Perimeter Institute canadese hanno osservato la pulsar in orbita intorno a un'altra stella compagna, fredda e dalla luce debole: una nana bruna avvolta da una nube di gas e polveri. "Il gas ha agito come una magnifica lente posta di fronte alla pulsar, ingrandendola e aiutandoci a osservarla in dettaglio", ha spiegato Main.
La pulsar, hanno sottolineato gli autori, ruota molto rapidamente: più di 600 volte al secondo. La nana bruna compagna, con un diametro che è circa un terzo del Sole, si trova a circa due milioni di chilometri dalla pulsar, attorno alla quale compie invece un orbita completa in più di nove ore. Secondo gli astronomi canadesi, "la pulsar è destinata a poco a poco a sottrarre materiale alla compagna", fino a quando non l'avrà consumata del tutto. (fonte: ANSA)
sabato 28 aprile 2018
La pasta non fa ingrassare, lo dice uno studio canadese
I carboidrati vengono spesso 'messi
all'indice' nelle diete, ma la stessa attenzione negativa non la
meriterebbe la pasta, che anzi può essere parte integrante di un
regime alimentare sano. A differenza della maggior parte dei
carboidrati 'raffinati', che sono rapidamente assorbiti nel
flusso sanguigno, questo alimento ha infatti un basso indice
glicemico, il che significa che provoca minori aumenti dei
livelli di zucchero nel sangue rispetto a quelli causati dal
consumo di cibi che invece hanno un livello alto di questo
indice.
Lo rileva uno studio del St. Michael's Hospital, in Canada, pubblicato su BMJ Open, che ha come prima autrice la ricercatrice di origine italiana Laura Chiavaroli. "Lo studio ha rilevato che la pasta non ha contribuito all'aumento di peso o all'aumento del grasso corporeo", evidenzia l'autore principale, John Sievenpiper.
"In realtà - aggiunge - l'analisi ha mostrato una leggera perdita di peso, quindi contrariamente alle preoccupazioni, la pasta può essere parte di una dieta sana come ad esempio quella a basso indice glicemico". Le persone coinvolte hanno mangiato in media 3,3 porzioni di pasta alla settimana invece di altri carboidrati. Da controlli effettuati è emerso che avevano perso circa mezzo chilo in 12 settimane. Gli autori sottolineano che i risultati sono generalizzabili alla pasta consumata insieme ad altri alimenti a basso indice glicemico e avvertono che sono necessarie maggiori ricerche per determinare se la perdita di peso si applica anche alla pasta come parte di altre diete salutari.
Lo studio si basa su una revisione sistematica e una meta-analisi di tutte le prove disponibili provenienti da studi randomizzati controllati, identificando 30 ricerche che hanno coinvolto quasi 2.500 persone che hanno mangiato pasta invece di altri carboidrati come parte di una dieta sana a basso indice glicemico. (fonte: ANSA)
Lo rileva uno studio del St. Michael's Hospital, in Canada, pubblicato su BMJ Open, che ha come prima autrice la ricercatrice di origine italiana Laura Chiavaroli. "Lo studio ha rilevato che la pasta non ha contribuito all'aumento di peso o all'aumento del grasso corporeo", evidenzia l'autore principale, John Sievenpiper.
"In realtà - aggiunge - l'analisi ha mostrato una leggera perdita di peso, quindi contrariamente alle preoccupazioni, la pasta può essere parte di una dieta sana come ad esempio quella a basso indice glicemico". Le persone coinvolte hanno mangiato in media 3,3 porzioni di pasta alla settimana invece di altri carboidrati. Da controlli effettuati è emerso che avevano perso circa mezzo chilo in 12 settimane. Gli autori sottolineano che i risultati sono generalizzabili alla pasta consumata insieme ad altri alimenti a basso indice glicemico e avvertono che sono necessarie maggiori ricerche per determinare se la perdita di peso si applica anche alla pasta come parte di altre diete salutari.
Lo studio si basa su una revisione sistematica e una meta-analisi di tutte le prove disponibili provenienti da studi randomizzati controllati, identificando 30 ricerche che hanno coinvolto quasi 2.500 persone che hanno mangiato pasta invece di altri carboidrati come parte di una dieta sana a basso indice glicemico. (fonte: ANSA)
mercoledì 28 marzo 2018
Orme di 13mila anni fa provano le migrazioni fra Asia e America
Un bambino che camminava scalzo
vicino al mare, insieme ai suoi genitori, dopo un viaggio
lunghissimo iniziato in Asia e finito sulle coste del Canada per
sfuggire al freddo glaciale: è questa la storia che raccontano
le impronte di piedi umani scoperte al largo delle coste
canadesi del Pacifico. Risalgono all'ultima Era Glaciale e sono
testimoni di una migrazione avvenuta 13mila anni fa attraverso
il ponte di terraferma che allora univa i due continenti.
La scoperta, descritta sulla rivista Plos One, si deve ai ricercatori dell'università canadese di Victoria. Dopo la scoperta delle impronte di un gruppo di baby cacciatori in Africa, risalenti a 700mila anni fa, e quelle trovate a Norfolk in Inghilterra di 800mila anni fa, ancora una volta sono le orme dei nostri antenati, grandi e piccoli, ad aiutare a delineare con più chiarezza il quadro delle prime migrazioni.
Già precedenti studi avevano indicato che nell'ultima Era glaciale, finita circa 11.700 anni fa, alcuni gruppi di uomini fossero migrati dall'Asia nelle Americhe, raggiungendo la costa occidentale dell'attuale British Columbia in Canada, ma finora era stato difficile trovare tracce archeologiche a supporto di quest'ipotesi. Lungo la costa del Pacifico dello stato nordamericano, gran parte di queste spiagge oggi è coperta da rigogliose foreste, accessibili solo via mare e difficili da studiare.
Adesso, grazie agli scavi fatti sui sedimenti delle spiagge di Calvert Island, dove il livello del mare è due-tre metri più basso di quello che c'era alla fine dell'Era glaciale, i ricercatori guidati da Duncan McLaren hanno riportato alla luce 29 impronte umane, di almeno tre dimensioni diverse. L'analisi al radiocarbonio ha permesso di datarle a 13mila anni fa, mentre quelle fotografiche e digitali hanno mostrato che probabilmente appartenevano a due adulti e a un bambino, tutti scalzi. L'uomo era quindi presente sulla costa canadese 13mila fa. Dati che si aggiungono alle altre prove a supporto dell'ipotesi che l'uomo si sia spostato lungo le coste, per muoversi dall'Asia al Nord America in quel periodo. (fonte: ANSA)
La scoperta, descritta sulla rivista Plos One, si deve ai ricercatori dell'università canadese di Victoria. Dopo la scoperta delle impronte di un gruppo di baby cacciatori in Africa, risalenti a 700mila anni fa, e quelle trovate a Norfolk in Inghilterra di 800mila anni fa, ancora una volta sono le orme dei nostri antenati, grandi e piccoli, ad aiutare a delineare con più chiarezza il quadro delle prime migrazioni.
Già precedenti studi avevano indicato che nell'ultima Era glaciale, finita circa 11.700 anni fa, alcuni gruppi di uomini fossero migrati dall'Asia nelle Americhe, raggiungendo la costa occidentale dell'attuale British Columbia in Canada, ma finora era stato difficile trovare tracce archeologiche a supporto di quest'ipotesi. Lungo la costa del Pacifico dello stato nordamericano, gran parte di queste spiagge oggi è coperta da rigogliose foreste, accessibili solo via mare e difficili da studiare.
Adesso, grazie agli scavi fatti sui sedimenti delle spiagge di Calvert Island, dove il livello del mare è due-tre metri più basso di quello che c'era alla fine dell'Era glaciale, i ricercatori guidati da Duncan McLaren hanno riportato alla luce 29 impronte umane, di almeno tre dimensioni diverse. L'analisi al radiocarbonio ha permesso di datarle a 13mila anni fa, mentre quelle fotografiche e digitali hanno mostrato che probabilmente appartenevano a due adulti e a un bambino, tutti scalzi. L'uomo era quindi presente sulla costa canadese 13mila fa. Dati che si aggiungono alle altre prove a supporto dell'ipotesi che l'uomo si sia spostato lungo le coste, per muoversi dall'Asia al Nord America in quel periodo. (fonte: ANSA)
sabato 24 marzo 2018
L'asteroide Oumuamua proviene da sistema con due soli
![]() |
| L'asteroide Oumuamua |
Il mondo da cui proviene il corpo celeste avrebbe probabilmente due soli perché solo così avrebbe potuto essere scagliato tanto lontano. Pubblicata sulla rivista "Monthly Notices of the Royal Astronomical Society", la scoperta si deve a una simulazione messa a punto dai ricercatori dell'università canadese, guidati dal planetologo Alan Jackson.
Secondo la simulazione, l'espulsione del bizzarro asteroide a forma di sigaro sarebbe avvenuta a causa delle interazioni tra la forza di gravità delle due stelle, durante il processo di nascita dei pianeti. Di conseguenza il corpo celeste potrebbe essere un mattone del suo sistema planetario espulso durante la fase di formazione, come era stato ipotizzato all'indomani della sua scoperta. Per questo, secondo Jackson, "il curioso corpo celeste potrebbe dirci come si formano i pianeti negli altri sistemi".
Il primo avvistamento dello strano asteroide di colore rossiccio e lungo circa 400 metri è datato il 19 ottobre 2017 e venne realizzato da parte dell'Osservatorio Haleakala nelle Isole Hawaii. I calcoli basati sulla sua orbita e sulla sua velocita' vertiginosa, di 30 chilometri al secondo, avevano indicato che arrivasse da un altro sistema planetario, probabilmente dalla costellazione della Lira. (fonte: ANSA)
giovedì 22 marzo 2018
Studio canadese, il piombo ha provocato 250mila morti
Il piombo presente
nell'ambiente, in particolare nei decenni scorsi, potrebbe
essere la causa di ben 256mila morti premature tra americani di
mezza età.
Ad aver calcolato i drammatici effetti sulla salute della sostanza, ampiamente presente in pitture, combustibili e batterie prima che si iniziasse a regolarne le quantità, è stato uno studio della Simon Fraser University in Canada.
I risultati denunciano così un allarmante legame fra l'esposizione regolare - sia pure a bassi livelli - a sostanze contenenti piombo e la salute cardiovascolare: in particolare il piombo stimolerebbe un indurimento delle arterie, ipertensione e difficoltà circolatorie.
Tutti i partecipanti allo studio - 14.300 adulti americani - sono stati sottoposti ad analisi sanguigne per determinare la presenza di piombo nel sangue. "I nostri dati riguardano la popolazione americana dai 44 anni in su, la cui esposizione al piombo è avvenuta prima dell'avvio dello studio", spiega il rapporto pubblicato su Lancet Public Health. (fonte: ANSA)
Ad aver calcolato i drammatici effetti sulla salute della sostanza, ampiamente presente in pitture, combustibili e batterie prima che si iniziasse a regolarne le quantità, è stato uno studio della Simon Fraser University in Canada.
I risultati denunciano così un allarmante legame fra l'esposizione regolare - sia pure a bassi livelli - a sostanze contenenti piombo e la salute cardiovascolare: in particolare il piombo stimolerebbe un indurimento delle arterie, ipertensione e difficoltà circolatorie.
Tutti i partecipanti allo studio - 14.300 adulti americani - sono stati sottoposti ad analisi sanguigne per determinare la presenza di piombo nel sangue. "I nostri dati riguardano la popolazione americana dai 44 anni in su, la cui esposizione al piombo è avvenuta prima dell'avvio dello studio", spiega il rapporto pubblicato su Lancet Public Health. (fonte: ANSA)
mercoledì 28 febbraio 2018
Studio canadese, gravidanza a rischio dopo i 40 anni
Le donne che hanno una gravidanza
dopo i 40 anni hanno un rischio aumentato di parto pretermine
che dipende solo da fattori biologici legati all'età, e non da
altre caratteristiche come l'aumentato rischio di diabete o il
fumo. Lo afferma uno studio pubblicato da Plos One, secondo cui
invece il tasso minore si ha tra 30 e 34 anni.
I ricercatori della CHU Sainte Justine di Montreal hanno analizzato i dati di 184mila parti in 32 ospedali del Quebec. anche una volta eliminati potenziali altri fattori confondenti, scrivono gli autori, lo studio ha verificato che nelle donne con più di 40 anni la probabilità di parto pretermine è del 14% più alta rispetto alle 30-34enni, mentre quella di avere cesareo, induzione del parto o altri interventi sale del 31%. Anche il rischio di avere un figlio fortemente prematuro e' dell'1% per le meno giovani e dello 0,6% nelle trentenni.
"In conclusione - scrivono gli autori -, questo studio ha dimostrato che anche dopo aver tenuto conto di potenziali fattori confondenti associati alla nascita pretermine una età materna avanzata è associata indipendentemente a un maggior rischio di parto pretermine". (fonte: ANSA)
I ricercatori della CHU Sainte Justine di Montreal hanno analizzato i dati di 184mila parti in 32 ospedali del Quebec. anche una volta eliminati potenziali altri fattori confondenti, scrivono gli autori, lo studio ha verificato che nelle donne con più di 40 anni la probabilità di parto pretermine è del 14% più alta rispetto alle 30-34enni, mentre quella di avere cesareo, induzione del parto o altri interventi sale del 31%. Anche il rischio di avere un figlio fortemente prematuro e' dell'1% per le meno giovani e dello 0,6% nelle trentenni.
"In conclusione - scrivono gli autori -, questo studio ha dimostrato che anche dopo aver tenuto conto di potenziali fattori confondenti associati alla nascita pretermine una età materna avanzata è associata indipendentemente a un maggior rischio di parto pretermine". (fonte: ANSA)
martedì 27 febbraio 2018
L'uomo in Nord America già 24mila anni fa
I primi esseri umani sono arrivati
in Nord America 10mila anni prima del previsto: avrebbero
attraversato lo stretto di Bering già 24mila anni fa, rimanendo
poi isolati tra ghiacci e steppe fino alla fine dell'ultima era
glaciale, quando è cominciata la loro opera di colonizzazione
del continente. Lo hanno scoperto gli antropologi
dell'Università di Montreal, datando i resti di alcuni animali
ritrovati nel più antico insediamento umano del Canada, quello
della grotta di Bluefish, vicino al confine con l'Alaska: i
risultati sono pubblicati sulla rivista Plos One.
I ricercatori hanno impiegato quasi due anni per esaminare ben 36mila frammenti ossei ritrovati nel sito archeologico e conservati al museo di storia canadese a Gatineau. Tra tutti questi reperti, soltanto 15 riportavano segni inequivocabilmente riconducibili alla mano dell'uomo. In particolare, i paleontologi hanno trovato ''sulla superficie delle ossa alcune linee dritte, disposte a 'V', che sono state tracciate con strumenti di pietra usati per scuoiare gli animali'', come spiega la coordinatrice dello studio, Ariane Burke. La datazione al radiocarbonio dei reperti ha mostrato che l'osso più antico, quello di una mandibola di cavallo (segnata probabilmente nel tentativo di tagliare la lingua dell'animale), risale a ben 24mila anni fa.
Questo risultato conferma dunque la prima datazione dell'insediamento fatta dall'archeologo Jacques Cinq-Mars, che lavorò nella grotta tra il 1977 e il 1987. Anche Cinq-Mars aveva datato al radiocarbonio alcune ossa di animali trovate nella grotta, ma il suo studio era stato contestato in quanto nulla dimostrava che quelle carcasse fossero finite nella grotta per mano dell'uomo e non per altre cause naturali. (fonte: ANSA)
I ricercatori hanno impiegato quasi due anni per esaminare ben 36mila frammenti ossei ritrovati nel sito archeologico e conservati al museo di storia canadese a Gatineau. Tra tutti questi reperti, soltanto 15 riportavano segni inequivocabilmente riconducibili alla mano dell'uomo. In particolare, i paleontologi hanno trovato ''sulla superficie delle ossa alcune linee dritte, disposte a 'V', che sono state tracciate con strumenti di pietra usati per scuoiare gli animali'', come spiega la coordinatrice dello studio, Ariane Burke. La datazione al radiocarbonio dei reperti ha mostrato che l'osso più antico, quello di una mandibola di cavallo (segnata probabilmente nel tentativo di tagliare la lingua dell'animale), risale a ben 24mila anni fa.
Questo risultato conferma dunque la prima datazione dell'insediamento fatta dall'archeologo Jacques Cinq-Mars, che lavorò nella grotta tra il 1977 e il 1987. Anche Cinq-Mars aveva datato al radiocarbonio alcune ossa di animali trovate nella grotta, ma il suo studio era stato contestato in quanto nulla dimostrava che quelle carcasse fossero finite nella grotta per mano dell'uomo e non per altre cause naturali. (fonte: ANSA)
giovedì 8 febbraio 2018
Studio canadese, i virus piovono dal cielo
Secondo uno studio coordinato dalla University of British Columbia, moltissimi virus piovono
letteralmente dal cielo: sollevati dalla superficie terrestre per opera di polveri e aerosol, si depositano nella bassa atmosfera
a concentrazioni di oltre 800 milioni per metro quadrato, per
poi viaggiare per migliaia di chilometri e ricadere di nuovo al
suolo.
A contarli per la prima volta è stato uno studio pubblicato sull'International Society for Microbial Ecology Journal da un gruppo di ricercatori canadesi, statunitensi e spagnoli.
Lo studio è stato concepito per valutare quanto materiale (tra virus e batteri) viene trasportato sopra il cosiddetto 'strato limite planetario', ovvero la porzione dell'atmosfera che si estende entro i primi due-tre chilometri di altezza ed è direttamente influenzata dalla superficie terrestre: a questa altitudine (inferiore a quella a cui volano gli aeroplani) le particelle possono essere trasportate per moltissimi chilometri. Sfruttando dei rilevatori installati in Spagna, sui monti della Sierra Nevada, i ricercatori hanno scoperto che ogni giorno miliardi di virus e decine di milioni di batteri si depositano per metro quadro. I tassi di deposizione dei virus sono risultati essere dalle nove alle 461 volte superiori rispetto a quelli dei batteri.
"Circa 20 anni fa - spiega il virologo Curtis Suttle - abbiamo iniziato a trovare virus geneticamente simili in ambienti molto diversi del globo: questa preponderanza di virus persistenti che viaggiano nell'atmosfera probabilmente ci spiega il motivo: e' abbastanza plausibile che un virus sollevato in atmosfera sopra un continente si possa depositare su un altro". (fonte: ANSA)
A contarli per la prima volta è stato uno studio pubblicato sull'International Society for Microbial Ecology Journal da un gruppo di ricercatori canadesi, statunitensi e spagnoli.
Lo studio è stato concepito per valutare quanto materiale (tra virus e batteri) viene trasportato sopra il cosiddetto 'strato limite planetario', ovvero la porzione dell'atmosfera che si estende entro i primi due-tre chilometri di altezza ed è direttamente influenzata dalla superficie terrestre: a questa altitudine (inferiore a quella a cui volano gli aeroplani) le particelle possono essere trasportate per moltissimi chilometri. Sfruttando dei rilevatori installati in Spagna, sui monti della Sierra Nevada, i ricercatori hanno scoperto che ogni giorno miliardi di virus e decine di milioni di batteri si depositano per metro quadro. I tassi di deposizione dei virus sono risultati essere dalle nove alle 461 volte superiori rispetto a quelli dei batteri.
"Circa 20 anni fa - spiega il virologo Curtis Suttle - abbiamo iniziato a trovare virus geneticamente simili in ambienti molto diversi del globo: questa preponderanza di virus persistenti che viaggiano nell'atmosfera probabilmente ci spiega il motivo: e' abbastanza plausibile che un virus sollevato in atmosfera sopra un continente si possa depositare su un altro". (fonte: ANSA)
martedì 30 gennaio 2018
Riscaldamento globale 'restringe' gli insetti, studio canadese
Il riscaldamento globale influisce sulla 'taglia' degli
organismi: lo afferma uno studio canadese dell'Università della BritishColumbia, in cui si sottolinea come l'aumento delle temperature stia influendo in maniera decisiva in particolare sulle dimensioni di alcuni coleotteri.
Alla ricerca, pubblicata sul Journal of Animal Ecology, ha lavorato una squadra di studenti che ha esaminato circa 6.500 coleotteri di otto specie diverse, originari di due regioni canadesi, e conservati nella collezione del museo dell'ateneo, riportando per ognuno informazioni di diverso tipo, dalle dimensioni a luogo e data di ritrovamento. Un lavoro che ha portato alla raccolta di dati per un arco temporale di un secolo. Gli studenti hanno così misurato i cambiamenti di taglia negli insetti negli ultimi 40 o 100 anni e hanno messo in relazione questi dati con quelli sui cambiamenti del clima nelle due aree di provenienza dei coleotteri.
Dall'analisi è emerso che negli ultimi 45 anni si sono verificati aumenti di temperatura in autunno di 1,6 gradi nel Lower Mainland e di 2,25 gradi nell'Okanagan. A fronte di questi incrementi alcuni scarafaggi risultavano più piccoli e altri no. A risentire maggiormente del cambiamento di clima i coleotteri più grandi, ridottisi del 20% in quasi mezzo secolo.
Alla ricerca, pubblicata sul Journal of Animal Ecology, ha lavorato una squadra di studenti che ha esaminato circa 6.500 coleotteri di otto specie diverse, originari di due regioni canadesi, e conservati nella collezione del museo dell'ateneo, riportando per ognuno informazioni di diverso tipo, dalle dimensioni a luogo e data di ritrovamento. Un lavoro che ha portato alla raccolta di dati per un arco temporale di un secolo. Gli studenti hanno così misurato i cambiamenti di taglia negli insetti negli ultimi 40 o 100 anni e hanno messo in relazione questi dati con quelli sui cambiamenti del clima nelle due aree di provenienza dei coleotteri.
Dall'analisi è emerso che negli ultimi 45 anni si sono verificati aumenti di temperatura in autunno di 1,6 gradi nel Lower Mainland e di 2,25 gradi nell'Okanagan. A fronte di questi incrementi alcuni scarafaggi risultavano più piccoli e altri no. A risentire maggiormente del cambiamento di clima i coleotteri più grandi, ridottisi del 20% in quasi mezzo secolo.
sabato 13 gennaio 2018
Epatite B, studio italocanadese scopre il virus in una mummia di 500 anni fa
Identificato il virus dell'epatite B
in una mummia di 450 anni fa, dopo che per anni si è pensato
che la causa della morte di un bambino vissuto circa 500 anni
fa, il cui corpo fu imbalsamato e conservato nelle arche
sepolcrali della Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli,
fosse il vaiolo.
Oggi, un team internazionale di ricercatori della McMaster University di Hamilton in Canada, diretto da Hendrik Poinar, e della divisione di paleopatologia dell'Università di Pisa, costituito da Gino Fornaciari e Valentina Giuffra, ha appurato che il bambino era portatore del virus dell'epatite B, gettando nuova luce su un agente patogeno complesso e mortale, che uccide quasi un milione di persone ogni anno.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista online "Plos Pathogens".
Nel corso delle missioni esplorative dell'Università di Pisa nella Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, dirette dal professor Fornaciari negli anni '80-'90, fu ritrovata la mummia intatta di un bambino di due anni indossante ancora la veste monastica dell'Ordine Domenicano, grazie alla quale i ricercatori hanno ottenuto il sequenziamento completo del genoma di un antico ceppo del virus dell'epatite B (HBV). (fonte: AGI)
Oggi, un team internazionale di ricercatori della McMaster University di Hamilton in Canada, diretto da Hendrik Poinar, e della divisione di paleopatologia dell'Università di Pisa, costituito da Gino Fornaciari e Valentina Giuffra, ha appurato che il bambino era portatore del virus dell'epatite B, gettando nuova luce su un agente patogeno complesso e mortale, che uccide quasi un milione di persone ogni anno.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista online "Plos Pathogens".
Nel corso delle missioni esplorative dell'Università di Pisa nella Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, dirette dal professor Fornaciari negli anni '80-'90, fu ritrovata la mummia intatta di un bambino di due anni indossante ancora la veste monastica dell'Ordine Domenicano, grazie alla quale i ricercatori hanno ottenuto il sequenziamento completo del genoma di un antico ceppo del virus dell'epatite B (HBV). (fonte: AGI)
lunedì 25 dicembre 2017
Sclerosi multipla, la soluzione in un antidepressivo
Un vecchio farmaco, l'antidepressivo
clomipramina, potrebbe forse contrastare la sclerosi multipla,
in particolare la forma attualmente meno curabile, quella
progressiva, che colpisce il 15% di tutti i pazienti.
Resa nota sulla rivista Nature Communications, è la scoperta di Voon Wee Yong della University of Calgary, in Canada, che ha passato al setaccio una libreria di 1040 farmaci generici da cui ne ha selezionati 249 che si prendono per bocca e possono superare la barriera 'emato-encefalica', ovvero il confine tra sangue e cervello, invalicabile dalla maggior parte delle medicine.
Yong ha testato i farmaci su topolini modello di sclerosi multipla; la forma progressiva è una malattia particolarmente ostica perché il danno neurale avviene contemporaneamente su più fronti (neurodegenerativo, ossidativo da radicali liberi, immunitario).
Yong ha visto che l'antidepressivo clomipramina può contrastare il danno neurologico a più livelli: il farmaco ha infatti dimostrato di prevenire la neurotossicità di avere attività antiossidante e di agire contro la proliferazione di cellule immunitarie.
Secondo Yong l'antidepressivo clomipramina è quindi un promettente candidato farmaco-semplice da assumere-da testare su pazienti con la grave forma di sclerosi multipla. (fonte: ANSA)
Resa nota sulla rivista Nature Communications, è la scoperta di Voon Wee Yong della University of Calgary, in Canada, che ha passato al setaccio una libreria di 1040 farmaci generici da cui ne ha selezionati 249 che si prendono per bocca e possono superare la barriera 'emato-encefalica', ovvero il confine tra sangue e cervello, invalicabile dalla maggior parte delle medicine.
Yong ha testato i farmaci su topolini modello di sclerosi multipla; la forma progressiva è una malattia particolarmente ostica perché il danno neurale avviene contemporaneamente su più fronti (neurodegenerativo, ossidativo da radicali liberi, immunitario).
Yong ha visto che l'antidepressivo clomipramina può contrastare il danno neurologico a più livelli: il farmaco ha infatti dimostrato di prevenire la neurotossicità di avere attività antiossidante e di agire contro la proliferazione di cellule immunitarie.
Secondo Yong l'antidepressivo clomipramina è quindi un promettente candidato farmaco-semplice da assumere-da testare su pazienti con la grave forma di sclerosi multipla. (fonte: ANSA)
mercoledì 27 settembre 2017
Mona Nemer nuovo Chief Science Advisor canadese
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| Mona Nemer, dietro di lei Justin Trudeau e Kirsty Duncan |
A prima vita, i compiti del Chief Science Advisor sembrano un filino ambigui. Il primo punto prevede infatti, seguendo la versione inglese, "provide advice on the development and implementation of guidelines to ensure that government science is fully available to the public and that federal scientists are able to speak freely about their work". Insomma, una sorta di linee guida che la scienza, almeno a mio avviso, dovrebbe essere in grado di trovare da sola, senza bisogno di ulteriori 'direttive' dall'alto. Un po' come per la presenza dei tanto contestati 'ministeri dello Sport', spesso considerati inutili e demagogici.
Dal punto di vista positivo, la presenza di un 'chief' in campo scientifico dovrebbe poter garantire la presenza di una 'voce' chiara e netta da parte degli scienziati in ambito governativo, anche se poi rimarrebbe da dimostrare come la Nemer possa rappresentare la 'voce' di tutti gli scienziati canadesi.
La Nemer si è detta ovviamente onorata di poter ricoprire tale incarico, aggiungendo: "Noi scienziati abbiamo importanti ruoli da ricoprire sia dentro che fuori dai laboratori". E anche questo 'fuori' fa presagire un allargamento di competenze etico che pare più una minaccia che un auspicio.
Cardiochirurga di fama mondiale, la Nemer vanta un lungo elenco di premi al proprio fianco, fra cui in particolare quello di Cavaliere dell'Ordine Nazionale del Quebec, ottenuto nel 2009, e di Membro dell'Ordine del Canada, di cui era stata insignita nel 2014.
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| Mona Nemer al lavoro in laboratorio |
sabato 13 maggio 2017
Tablet pericolosi per lo sviluppo dei bambini
Tablet, smartphone e simili, guardare troppo i loro schermi mobili può fare molto male, specialmente per i più piccoli, in particolare i bambini con età comprese fra i sei e i 24 mesi.
Lo sostiene uno studio canadese, presentato al "Pediatric Academic Societies Meeting", dalla professoressa Catherine Birken della Toronto University.
Lo studio è stato effettuato su 900 bambini, esaminati a 18 mesi nella loro capacità di comunicazione con suoni, formazione di parole più meno corrette e di frasi: i principali dati emersidicono che più del 20% dei piccoli trascorre almeno 28 minuti al giorno davanti a qualche tipo di screen di strumenti elettronici mobili. Ogni aumento di 30 minuti del tempo trascorso davanti a uno screen si è tradotto in un incremento del 49% dei rischi di ritardi nelle capacità di espressione verbale dei bambini.
Lo sostiene uno studio canadese, presentato al "Pediatric Academic Societies Meeting", dalla professoressa Catherine Birken della Toronto University.
Lo studio è stato effettuato su 900 bambini, esaminati a 18 mesi nella loro capacità di comunicazione con suoni, formazione di parole più meno corrette e di frasi: i principali dati emersidicono che più del 20% dei piccoli trascorre almeno 28 minuti al giorno davanti a qualche tipo di screen di strumenti elettronici mobili. Ogni aumento di 30 minuti del tempo trascorso davanti a uno screen si è tradotto in un incremento del 49% dei rischi di ritardi nelle capacità di espressione verbale dei bambini.
venerdì 31 marzo 2017
Va all'italiano Rappuoli il Canada Gairdner International Award
E' andato a Rino Rappuoli,
chief scientist di Gsk Vaccines, il Canada Gairdner
International Award, prestigioso riconoscimento dedicato alle
più importanti scoperte in ambito medico scientifico a livello
mondiale.
Rappuoli è stato premiato dalla Gairdner Foundation per l'approccio pionieristico con il quale ha saputo legare lo studio della genomica a quello dei vaccini, in particolare nella lotta contro il meningococco B. La 'reverse vaccinology', sviluppata dal team di Rappuoli nel 2000, è stata la chiave per la scoperta del primo vaccino al mondo contro questa patologia. Il vaccino contro il meningococco B oggi è approvato in oltre 35 paesi, con più di 10 milioni di dosi distribuite dall'Italia in tutto il mondo.
"E' stata una bella sorpresa apprendere di essere tra i vincitori di questo importante premio, sono davvero felice - ha commentato Rappuoli -, l'utilizzo della 'reverse vaccinology' e di tutte le nuove tecnologie che abbiamo oggi a disposizione rivoluzioneranno il mondo dei vaccini". "Quelli del futuro - ha aggiunto - preverranno ancora più malattie e in taluni casi potranno persino curarle".
Rappuoli è stato premiato dalla Gairdner Foundation per l'approccio pionieristico con il quale ha saputo legare lo studio della genomica a quello dei vaccini, in particolare nella lotta contro il meningococco B. La 'reverse vaccinology', sviluppata dal team di Rappuoli nel 2000, è stata la chiave per la scoperta del primo vaccino al mondo contro questa patologia. Il vaccino contro il meningococco B oggi è approvato in oltre 35 paesi, con più di 10 milioni di dosi distribuite dall'Italia in tutto il mondo.
"E' stata una bella sorpresa apprendere di essere tra i vincitori di questo importante premio, sono davvero felice - ha commentato Rappuoli -, l'utilizzo della 'reverse vaccinology' e di tutte le nuove tecnologie che abbiamo oggi a disposizione rivoluzioneranno il mondo dei vaccini". "Quelli del futuro - ha aggiunto - preverranno ancora più malattie e in taluni casi potranno persino curarle".
domenica 7 agosto 2016
Vincenzo Di Marzo, pioggia di soldi dal Canada
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| Vincenzo Di Marzo |
Di Marzo, biochimico e farmacologo di fama mondiale, è da tempo impegnato nella lotta contro l'obesità e le malattie croniche associate.
"Vincenzo Di Marzo è un leader mondiale nella chimica biomolecolare", ha affermato il ministro della Scienza canadese, Kirsty Duncan. "Il governo canadese - ha aggiunto - è orgoglioso di sostenere la sua attività di ricerca, che un giorno potrà alleviare le sofferenze di persone colpite da disturbi metabolici, come l'obesità e il diabete di tipo 2, in Canada e in tutto il mondo". (fonte: AGI)
sabato 16 luglio 2016
Ictus, secondo studio canadese il 90% evitabili eliminando fattori di rischio
Oltre nove casi di ictus su 10 nel
mondo sarebbero prevenibili combattendo 10 fattori di rischio
noti per questa malattia, da ipertensione a sedentarietà, da
cattiva alimentazione a vizio del fumo, da diabete a malattie
cardiovascolari, consumo di alcolici, obesità, fattori
psicosociali come lo stress.
Lo rivela un grosso studio mondiale pubblicato sulla rivista "The Lancet" e condotto presso la McMaster University in Canada su dati relativi a qualcosa come 26mila individui da 32 paesi del mondo.
Già altri studi in passato hanno evidenziato il ruolo degli stili di vita sul rischio di ictus e anche l'ampio margine di intervento per prevenire questo evento vascolare che può essere fatale o portare a disabilità anche permanente.
I ricercatori hanno potuto calcolare quanti ictus potrebbero essere evitati se un certo fattore di rischio scomparisse. Il numero di ictus potrebbe essere praticamente dimezzato se la pressione alta fosse eliminata a livello mondiale (-48% dei casi); potrebbe essere ridotto di oltre un terzo (-36%) se le persone fossero fisicamente attive; ridotto di quasi un quinto (-19% dei casi) se seguissero diete sane. Se fosse eliminata l'obesità nel mondo i casi di ictus potrebbero essere ridotti del 18,6%. E ancora, il numero di ictus potrebbe essere ridotto del 12% se il vizio del fumo fosse eliminato a livello mondiale; del 9% se fossero tenute sotto controllo le cause cardiovascolari. Altri fattori di rischio con un margine di intervento sono il diabete (responsabile del 4% dei casi), il consumo di alcolici (6% dei casi), lo stress (6% dei casi) e il quadro lipidico nel sangue, (non solo il colesterolo). (fonte: ANSA)
Lo rivela un grosso studio mondiale pubblicato sulla rivista "The Lancet" e condotto presso la McMaster University in Canada su dati relativi a qualcosa come 26mila individui da 32 paesi del mondo.
Già altri studi in passato hanno evidenziato il ruolo degli stili di vita sul rischio di ictus e anche l'ampio margine di intervento per prevenire questo evento vascolare che può essere fatale o portare a disabilità anche permanente.
I ricercatori hanno potuto calcolare quanti ictus potrebbero essere evitati se un certo fattore di rischio scomparisse. Il numero di ictus potrebbe essere praticamente dimezzato se la pressione alta fosse eliminata a livello mondiale (-48% dei casi); potrebbe essere ridotto di oltre un terzo (-36%) se le persone fossero fisicamente attive; ridotto di quasi un quinto (-19% dei casi) se seguissero diete sane. Se fosse eliminata l'obesità nel mondo i casi di ictus potrebbero essere ridotti del 18,6%. E ancora, il numero di ictus potrebbe essere ridotto del 12% se il vizio del fumo fosse eliminato a livello mondiale; del 9% se fossero tenute sotto controllo le cause cardiovascolari. Altri fattori di rischio con un margine di intervento sono il diabete (responsabile del 4% dei casi), il consumo di alcolici (6% dei casi), lo stress (6% dei casi) e il quadro lipidico nel sangue, (non solo il colesterolo). (fonte: ANSA)
sabato 16 aprile 2016
Sclerosi multipla: da Vancouver la rivoluzione dell'Ocrelizumab
Il farmaco sperimentale Ocrelizumab di
Roche conferma di avere un'efficacia superiore contro la
sclerosi multipla recidivante-remittente la sclerosi multipla
primariamente progressiva.
Questi, in sintesi, i risultati ottenuti da tre studi di fase 3, presentati in occasione del 68° convegno annuale dell'American Academy of Neurology in corso dal 15 al 21 aprile a Vancouver.
I dati presentati dimostrano che Ocrelizumab riduce significativamente la progressione della disabilità e il danno del tessuto cerebrale in entrambe le forme di sclerosi multipla. Ocrelizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato sperimentale, progettato per colpire in maniera selettiva le cellule di un tipo specifico di cellule immunitarie considerate tra le principali responsabili del danno alla mielina (ovvero la guaina protettiva che ricopre le fibre nervose isolandole e fungendo loro da supporto) e all'assone (cellula nervosa), che si osserva nella sclerosi multipla e che determina disabilità.
A febbraio 2016, la Food and Drug Administration, l'agenzia regolatoria americana, ha riconosciuto a Ocrelizumab la designazione di "Breakthrough Therapy" (terapia fortemente innovativa) per il trattamento di pazienti affetti da sclerosi multipla primariamente progressiva. (cit. AGI)
Questi, in sintesi, i risultati ottenuti da tre studi di fase 3, presentati in occasione del 68° convegno annuale dell'American Academy of Neurology in corso dal 15 al 21 aprile a Vancouver.
I dati presentati dimostrano che Ocrelizumab riduce significativamente la progressione della disabilità e il danno del tessuto cerebrale in entrambe le forme di sclerosi multipla. Ocrelizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato sperimentale, progettato per colpire in maniera selettiva le cellule di un tipo specifico di cellule immunitarie considerate tra le principali responsabili del danno alla mielina (ovvero la guaina protettiva che ricopre le fibre nervose isolandole e fungendo loro da supporto) e all'assone (cellula nervosa), che si osserva nella sclerosi multipla e che determina disabilità.
A febbraio 2016, la Food and Drug Administration, l'agenzia regolatoria americana, ha riconosciuto a Ocrelizumab la designazione di "Breakthrough Therapy" (terapia fortemente innovativa) per il trattamento di pazienti affetti da sclerosi multipla primariamente progressiva. (cit. AGI)
venerdì 20 novembre 2015
Apple Pay al via anche in Canada
Dopo Stati Uniti e Gran Bretagna l'Apple Pay,
il sistema per pagare nei negozi via iPhone, potrebbe sbarcare
in un terzo Paese - il Canada.
Lo hanno confermato al sito iphoneincanada.ca alcuni rappresentanti di American Express, che per ora sembra l'unico partner della 'Mela' per il debutto canadese del servizio.
La notizia è in linea con quanto annunciato un mese fa da Apple, cioé il lancio del servizio in Canada e Australia entro il 2015. Non ci sono invece notizie sul lancio in altri Paesi UE.
L'Apple Pay ha esordito un anno fa in territorio statunitense per poi giungere nel Regno Unito nel luglio scorso. Da allora, tuttavia, il settore si è arricchito di concorrenti, a cominciare da Android Pay di Google e da Samsung Pay.
Quest'ultimo, in particolare, ha il vantaggio di essere compatibile con i normali Pos presenti alle casse dei negozi, mentre le soluzioni di Apple e Google funzionano solo con i terminali compatibili con la tecnologia senza fili Nfc.
Stando a un'indiscrezione raccolta dal Wall Street Journal una settimana fa, Apple sarebbe al lavoro su una novità in grado di fare crescere l'appeal di Apple Pay soprattutto tra i giovani: le micro-transazioni, cioé la possibilità per gli utenti di inviarsi soldi attraverso l'iPhone, per esempio per pagare la propria quota di una cena tra amici. (fonte: ANSA).
Lo hanno confermato al sito iphoneincanada.ca alcuni rappresentanti di American Express, che per ora sembra l'unico partner della 'Mela' per il debutto canadese del servizio.
La notizia è in linea con quanto annunciato un mese fa da Apple, cioé il lancio del servizio in Canada e Australia entro il 2015. Non ci sono invece notizie sul lancio in altri Paesi UE.
L'Apple Pay ha esordito un anno fa in territorio statunitense per poi giungere nel Regno Unito nel luglio scorso. Da allora, tuttavia, il settore si è arricchito di concorrenti, a cominciare da Android Pay di Google e da Samsung Pay.
Quest'ultimo, in particolare, ha il vantaggio di essere compatibile con i normali Pos presenti alle casse dei negozi, mentre le soluzioni di Apple e Google funzionano solo con i terminali compatibili con la tecnologia senza fili Nfc.
Stando a un'indiscrezione raccolta dal Wall Street Journal una settimana fa, Apple sarebbe al lavoro su una novità in grado di fare crescere l'appeal di Apple Pay soprattutto tra i giovani: le micro-transazioni, cioé la possibilità per gli utenti di inviarsi soldi attraverso l'iPhone, per esempio per pagare la propria quota di una cena tra amici. (fonte: ANSA).
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