Viene riprodotto di seguito l'articolo di Francesca Pierantozzi per "Il Messaggero", scritto in questi giorni come commento alla strage di Quebec City.
Modello in crisi
Canada, lo choc della terra felice che scopre l’odio razziale
Il Canada è incredulo ma qualche crepa sociale era apparsa da tempo. E' stata l'apertura ai rifugiati siriani a scatenare l'ondata antimusulmani
di Francesca Pierantozzi
«Il Canada non è il Paese perfetto e la società canadese non è certo priva di tensioni, ma nessuno, davvero nessuno, poteva aspettarsi un attacco come quello alla moschea di Québec. Siamo scioccati. Oggi è lo stupore e l’incredulità che dominano, non soltanto tra la gente, ma anche tra i politici»: Eric Bédard è nel suo ufficio, all’Università di Montréal. Lo storico e politologo canadese ha scritto decine di libri sul suo Paese, è un un profondo conoscitore della giovanissima costituzione (porta la data del 1982, prima la carta fondamentale era una legge britannica), del suo multiculturalismo quasi genetico, dei dibattiti, anche aspri che provoca, delle nuove tentazioni identitarie, eppure i morti
dentro il centro culturale islamico
per lui non hanno davvero
una spiegazione.
LO STUPORE
Non che non ci sia del marcio in
Canada, anche se il primo ministro
liberal Justin Trudeau continua
a volare altissimo nei sondaggi
e a novembre, a un anno
dall’insediamento, perfino i detrattori
più irriducibili avevano
dovuto ammettere che un quarto
delle promesse elettorali erano
già state mantenute. Quasi un record.
Pochi si sono sorpresi quando
sabato scorso Trudeau ha risposto
al vicino Donald Trump
che chiudeva le porte, spalancando
quelle di casa sua: «Chi fugge
da persecuzioni, terrore e guerra,
sappia che il Canada lo accoglierà
senza preoccuparsi della
sua fede - ha twittato Trudeau -
La diversità è la nostra forza
#BenvenutiInCanada». Il giorno
dopo, il massacro nella Moschea
di Sainte-Foy. «Anche se con
Trump s’insinua un clima di sospetto
e risentimento, fino a oggi
nessuno poteva davvero aspettarsi
un attacco xenofobo tanto orribile»
insiste Bédard. Eppure, dalla
cronaca qualche segnale era
cominciato ad arrivare. Nell’ultimo
anno, mentre il Paese apriva
la porta ai rifugiati siriani (35mila
da dicembre 2015) si sono moltiplicati
episodi anti-musulmani.
Nessunmorto, ma il segno di una
violenza in aumento: un incendio
doloso alla moschea di Montreal,
un altro a un centro culturale
musulmano a Sept-Iles, minacce
di morte telefoniche al responsabile
di un’Associazione.
Un anno fa una testa di maiale
mozzata era stata lasciata davanti
alle porte della moschea di
Sainte-Foy. Sopra la scritta:
“Buon appetito”. Una settimana
dopo nel quartiere erano circolati
volantini islamofobi, che definivano
«un covo di radicali» la
moschea e il suo centro culturale,
con una biblioteca e una scuola
di lingua araba. All’epoca il
presidente del centro Mohamed
Yangui aveva preferito minimizzare:
«Noi andiamo d’accordo
con tutti, non abbiamo problemi
con nessuno. Siamo qui per dare
una bella immagine dei musulmani
a tutto il Quebec».
LA MOZIONE
Non ha invece minimizzato il deputato
Iqra Khalid, che a dicembre
ha presentato una mozione
per chiedere una condanna del
Governo contro l’Islamofobia e
uno studio su come combatterla.
Trudeau ha anticipato il voto della
mozione (in agenda questa settimana)
e ha moltiplicato i segni
di apertura, non sempre tra gli
applausi. È andato per esempio a
vantare la “diversità” canadese
in una moschea che vieta il culto
promiscuo: uomini separati dalle
donne durante la preghiera. Le
due ministre che lo accompagnavano
sono dovute entrare da una
porta secondaria e assistere al discorso
del premier da una loggia,
cosa che ha provocato non poche
proteste.
Se Trump sembra esercitare
qualche fascino su Kevin O’Leary,
in corsa per la segreteria del
Partito Conservatore, le idee
dell’Americano non hanno grande
presa oltre confine. Poca simpatia
ispira anche Marine Le
Pen: la sua visita, lo scorso marzo,
si è svolta nell’indifferenza totale
dei politici e del pubblico, e
sotto il fuoco della stampa. Ciò
non toglie che Alexandre Bissonette,
uno dei due attentatori di
Québec, abbia spesso avuto belle
parole per la presidente del Front
National: «Era contento che fosse
venuta in Québec - ha raccontato
François Deschamps, membro
del Comitato di accoglienza
ai rifugiati siriani, che lo conosceva
come attivista sui social - Parlava
d’identità, del rischio di perdere
le nostre radici e la nostra
cultura con l’arrivo dei rifugiati».
La comunità musulmana in
Québec ora ha paura. «È una comunità
vivace, antica, molto numerosa»
spiega Bédard. Una comunità
che fa parte dell’identità
del Québec. Lo stato ha uno statuto
speciale in fatto di immigrazione,
e ha diritto a praticare una selezione
all’ingresso: priorità è data
agli immigrati francofoni, e
dunque anche agli arabi del Maghreb.
Visualizzazione post con etichetta Quebec City. Mostra tutti i post
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giovedì 2 febbraio 2017
mercoledì 1 febbraio 2017
Strage Quebec City, chi è Alexandre Bissonnette
Viene riprodotto di seguito per intero l'articolo che Claudio Salvalaggio ha scritto per l'agenzia ANSA e dedicato alla figura di Alexandre Bissonnette, accusato della strage di Quebec City.
Canada: killer moschea 'lupo solitario' nazionalista
Noto su web per sue simpatie estremiste. Scena muta in tribunale
di Claudio Salvalaggio
Un 'lupo solitario' non radicalizzato ma noto per le sue simpatie verso i movimenti nazionalisti e seguace di Donald Trump e Marine Le Pen, come risulta dal suo profilo Facebook. E' il ritratto della banalità del male quello di Alexandre Bissonnette, 27enne studente franco-canadese di scienze politiche alla locale università Laval, arrestato e accusato dell'attacco alla moschea di Quebec City, dove sono sono stati uccisi sei fedeli ed altri cinque sono rimasti gravemente feriti.
Un "atto terroristico contro i musulmani" - come l'ha definito subito il premier canadese Justin Trudeau - che ha suscitato un'ondata internazionale di condanne e di solidarietà, in particolare dal mondo cattolico. E che ha seminato paura tra il milione di musulmani che, come molti altri immigrati e rifugiati, avevano scelto l'ospitale Canada pensando di essere al sicuro da xenofobia e razzismo.
Bissonnette è comparso ieri brevemente in tribunale ma, pur agitandosi molto, non ha detto una parola, neppure di scuse. Era stato lui, dopo la strage, a chiamare il 911 (il numero di emergenza) per dire che voleva consegnarsi collaborando con la polizia. Gli inquirenti sono convinti che abbia agito da solo e che non sia in contatto con gruppi terroristi ma il movente di tanta violenza non è ancora stato accertato. La polizia sta scandagliando la sua vita, anche sui social network, e ascoltando famigliari, amici, compagni di università. Il giovane non era noto alle forze dell'ordine. Ma era ben conosciuto dagli attivisti che monitorano i gruppi estremisti in Quebec, ha spiegato François Deschamps, dirigente di una ong che si occupa di rifugiati. "E' con dolore e rabbia che apprendiamo l'identità del terrorista Alexandre Bissonnette, sfortunatamente noto a molti attivisti in Quebec per le sue posizioni a favore dei nazionalisti, pro Le Pen e anti femministe all'università Laval e sui social media", ha osservato. Su Facebook aveva espresso sostegno anche per 'Generation nationale'', un gruppo ostile al multiculturalismo. Ma la sua simpatia più forte era per Marine Le Pen e il suo Front National, che fa presa sulla comunità francofona del Quebec con i suoi slogan xenofobi, guadagnandosi l'appoggio dei suprematisti bianchi.
Un portavoce del Front National, Alex Frederiksen, ha definito "deplorevole" l'attacco alla moschea ma, ha precisato, "Marine le Pen non deve scusarsi per i commenti che la gente fà sulla propria pagina di Facebook". In effetti Bissonette è solo uno dei tanti giovani calamitati dalla sirena del nazionalismo di marca xenofoba, la stessa che ha spinto alla vittoria Donald Trump in Usa. Per ora non è dato sapere cosa l'abbia indotto a passare dalla dichiarata ostilità per gli immigrati ad un'azione armata. Si sa però che ha imparato ad usare le armi tra i cadetti, nella cui uniforme appare su Fb.
Dopo lo shock per la tragedia, oggi a Quebec City è il tempo della solidarietà. Una messa in ricordo delle vittime dell'attentato si terra' questa sera alle 19.00 nella chiesa Notre-Dame-de-Foy, che si trova proprio di fronte alla moschea. Ieri la diocesi locale aveva promosso una veglia terminata con una marcia di solidarietà alla comunità musulmana, alla quale ha partecipato anche Trudeau: "Trentasei milioni di cuori sono straziati insieme ai vostri", ha detto il premier canadese.
Canada: killer moschea 'lupo solitario' nazionalista
Noto su web per sue simpatie estremiste. Scena muta in tribunale
di Claudio Salvalaggio
Un 'lupo solitario' non radicalizzato ma noto per le sue simpatie verso i movimenti nazionalisti e seguace di Donald Trump e Marine Le Pen, come risulta dal suo profilo Facebook. E' il ritratto della banalità del male quello di Alexandre Bissonnette, 27enne studente franco-canadese di scienze politiche alla locale università Laval, arrestato e accusato dell'attacco alla moschea di Quebec City, dove sono sono stati uccisi sei fedeli ed altri cinque sono rimasti gravemente feriti.
Un "atto terroristico contro i musulmani" - come l'ha definito subito il premier canadese Justin Trudeau - che ha suscitato un'ondata internazionale di condanne e di solidarietà, in particolare dal mondo cattolico. E che ha seminato paura tra il milione di musulmani che, come molti altri immigrati e rifugiati, avevano scelto l'ospitale Canada pensando di essere al sicuro da xenofobia e razzismo.
Bissonnette è comparso ieri brevemente in tribunale ma, pur agitandosi molto, non ha detto una parola, neppure di scuse. Era stato lui, dopo la strage, a chiamare il 911 (il numero di emergenza) per dire che voleva consegnarsi collaborando con la polizia. Gli inquirenti sono convinti che abbia agito da solo e che non sia in contatto con gruppi terroristi ma il movente di tanta violenza non è ancora stato accertato. La polizia sta scandagliando la sua vita, anche sui social network, e ascoltando famigliari, amici, compagni di università. Il giovane non era noto alle forze dell'ordine. Ma era ben conosciuto dagli attivisti che monitorano i gruppi estremisti in Quebec, ha spiegato François Deschamps, dirigente di una ong che si occupa di rifugiati. "E' con dolore e rabbia che apprendiamo l'identità del terrorista Alexandre Bissonnette, sfortunatamente noto a molti attivisti in Quebec per le sue posizioni a favore dei nazionalisti, pro Le Pen e anti femministe all'università Laval e sui social media", ha osservato. Su Facebook aveva espresso sostegno anche per 'Generation nationale'', un gruppo ostile al multiculturalismo. Ma la sua simpatia più forte era per Marine Le Pen e il suo Front National, che fa presa sulla comunità francofona del Quebec con i suoi slogan xenofobi, guadagnandosi l'appoggio dei suprematisti bianchi.
Un portavoce del Front National, Alex Frederiksen, ha definito "deplorevole" l'attacco alla moschea ma, ha precisato, "Marine le Pen non deve scusarsi per i commenti che la gente fà sulla propria pagina di Facebook". In effetti Bissonette è solo uno dei tanti giovani calamitati dalla sirena del nazionalismo di marca xenofoba, la stessa che ha spinto alla vittoria Donald Trump in Usa. Per ora non è dato sapere cosa l'abbia indotto a passare dalla dichiarata ostilità per gli immigrati ad un'azione armata. Si sa però che ha imparato ad usare le armi tra i cadetti, nella cui uniforme appare su Fb.
Dopo lo shock per la tragedia, oggi a Quebec City è il tempo della solidarietà. Una messa in ricordo delle vittime dell'attentato si terra' questa sera alle 19.00 nella chiesa Notre-Dame-de-Foy, che si trova proprio di fronte alla moschea. Ieri la diocesi locale aveva promosso una veglia terminata con una marcia di solidarietà alla comunità musulmana, alla quale ha partecipato anche Trudeau: "Trentasei milioni di cuori sono straziati insieme ai vostri", ha detto il premier canadese.
martedì 31 gennaio 2017
Strage Quebec City, regalo per gli 'haters' di Trump
![]() |
La protesta contro Trump davanti al consolato Usa a Toronto |
Alexandre Bissonnette è stato immediatamente identificato dai demagoghi di professione, quelli che tanto cara hanno l'uguaglianza nel mondo, come l'esempio tipico del 'follower' di Donald Trump e Marine Le Pen, e quindi anche di Matteo Salvini, delle destre populiste, che automaticamente vuol dire pure naziste, fasciste, qualcosa che finisce in 'ista' di sicuro (anche sandinista?), ma certamente cattive e crudeli.
Trapela quasi una soddisfazione da parte dei cosiddetti 'addetti ai lavori' di fronte alle vittime della moschea di Quebec City. Non appena il primo sospetto di origine marocchina è stato rilasciato si è infatti scatenata sulla rete una 'caccia al canadese' (questo sì, di pelle bianca, come ce lo immaginiamo noi, del resto), con conseguente demonizzazione di tutti coloro che chiedono da tempo una riduzione di immigrazione, maggiore sicurezza, più ordine, meno crimine, meno possibilità di ricezione di terroristi nelle nostre strade, siano esse italiane o canadesi.
Le 'anime belle' della sinistra radicale, che detengono le reali leve del potere mondiale, dopo la pesante mortificazione subita dalla salita al potere di Trump, non potevano ricevere regalo migliore.
L'accusa di terrorismo a Bissonette sembra prosciugare il famoso detto "non tutti gli arabi sono terroristi, ma tutti i terroristi sono arabi". E così questo faccino da pirla, questa espressione di un misto fra un taglialegna dell'Ontario e Justin Bieber, diventa automaticamente il leader di una potente frangia terrorista filotrumpista, forse diretta dallo stesso presidente americano. Perché se è vero che, dizionario alla mano, quello di Bissonette è un atto terroristico (sempre ammesso che sia stato lui a compierlo e che venga riconosciuto colpevole), è altrettanto vero che la vicenda non sposta di una virgola il problema reale, che è quello dell'invasione islamica nei confronti del mondo occidentale, con tutti i problemi che ne conseguono e della quale Trump ha perfettamente capito la pericolosità, alla faccia di coloro che strillano negli aeroporti (ma dov'erano quando si è trattato di votare? in nome di quale libertà o democrazia pretendono di parlare?).
L'operazione anti-Trump prosegue quindi in maniera spedita, sempre più veloce, con le immagini e i fatti arrivati al momento giusto, quasi cotti a puntino. Guarda caso, proprio in questi giorni qualche 'suffragetta' canadese aveva perfino proposto (e a questo punto si attende pure l'approvazione generale) una insensata e liberticida legge contro l'islamofobia. Sulle televisioni europee (ma anche sulla maggior parte dei media americani) compare incessante la martellante campagna scatenata dal mondo dell'informazione occidentale, tesa allo spodestamento del potere di Trump, immagini, montaggi e sequenze che scatenerebbero l'entusiasmo di Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Reich di Adolf Hitler.
Strage Quebec City, il Canada 'liberal' finisce nel mirino
Viene riprodotto di seguito per intero l'articolo che la giornalista Sara Gandolfi ha scritto su Il Corriere della Sera commentando la strage di Quebec City.
Il Canada "liberal" finisce nel mirino. La loro bandiera è l’accoglienza per tutti
Ogni anno 300.000 migranti e migliaia di profughi
di Sara Gandolfi
“Non esiste il canadese modello. Non c’è nulla di più assurdo della definizione “all Canadian”. Una società che enfatizza l’uniformità crea intolleranza e odio”. Con queste parole, l’8 ottobre 1971, il premier Pierre Trudeau spiegò perché aveva deciso di trasformare un concetto fino ad allora teorico — il multiculturalismo — in “politica ufficiale” del suo governo, e di tutti quelli che seguirono. Era la prima volta che il leader di uno Stato si impegnava formalmente a proteggere e promuovere la diversità, riconoscere i diritti delle popolazioni aborigene e sostenere l’uso del bilinguismo. Non fu una scelta “morale”, in realtà: il Partito liberale di Trudeau stava perdendo consensi in Québec, minacciato dal crescente sostegno al separatismo, e puntava a conquistare il voto delle comunità di “nuovi canadesi” in Ontario e British Columbia. Sta di fatto che la “diversità” è diventato un valore collettivo nel Paese delle Giubbe rosse.
Quarantacinque anni dopo, è toccato a un altro Trudeau, il figlio Justin, riportare in auge un principio che con il tempo sembrava essersi appannato. Il 27 giugno scorso, il giovane premier ha messo nero su bianco la filosofia nazionale, con una dichiarazione che sembra la continuazione di quella del padre: “Il multiculturalismo è la nostra forza, sinonimo di Canada quanto lo è la foglia di acero. Qualsiasi sia la nostra religione, il luogo in cui siamo nati, il colore della nostra pelle o la lingua che parliamo, siamo tutti cittadini uguali di questo grande Paese. Le nostre radici raggiungono ogni angolo del pianeta”.
Il tweet del premier Porte aperte “a chi fugge persecuzione, terrore e guerra, a prescindere dalla fede”
I numeri confermano. Un quinto dei canadesi è nato all’estero. Nelle principali città, da Toronto a Vancouver, quasi metà della popolazione è formata da minoranze. Eppure è difficile trovare sacche di segregazione come quelle presenti in tante periferie europee o statunitensi. La parola d’ordine è: integrazione. Ed è il più grande successo della politica di Ottawa. In un Paese in cui il ministro dell’Immigrazione, Ahmed Hussen, è di origine somala — e garantisce permessi di residenza temporanei a chi viene respinto dagli Usa di Trump — e le partite di hockey vengono trasmesse regolarmente in Punjabi oltre che in francese e in inglese, fino ad oggi nessuno si è mai sentito davvero straniero.
La politica d’inclusione di Trudeau jr ha ricevuto il plauso dell’Economist: “Oggi, nella sua solitaria difesa dei valori liberali, il Canada sembra veramente eroico”, ha scritto il settimanale. Una “fortezza di decenza, tolleranza e buon senso” che ogni anno, da un ventennio, apre le porte a 300.000 migranti, circa l’1% della popolazione (nel 2016 sono arrivati anche 46.000 profughi, in gran parte siriani) e offre ai nuovi arrivati una rete di “sponsor privati”, cittadini che si prendono la responsabilità di aiutarli durante il loro primo anno nel Paese.
La distanza che separa il Canada dagli Stati Uniti (ma anche dall’Europa della Brexit e del nazionalpopulismo) non è forse mai stata così ampia. “Siamo i campioni solitari del multiculturalismo tra le democrazie occidentali”, dice Stephen Marche, scrittore ed opinionista canadese. “Questa solitudine ci accompagnerà nei mesi e negli anni a venire, forse per sempre”. Trudeau lo sa e ne sta facendo il perno della sua politica: “A chi sta fuggendo persecuzione, terrore e guerra... i canadesi vi daranno il benvenuto, a prescindere dalla vostra fede”, ha twittato dopo l’altolà di Trump.
Il Canada "liberal" finisce nel mirino. La loro bandiera è l’accoglienza per tutti
Ogni anno 300.000 migranti e migliaia di profughi
di Sara Gandolfi
“Non esiste il canadese modello. Non c’è nulla di più assurdo della definizione “all Canadian”. Una società che enfatizza l’uniformità crea intolleranza e odio”. Con queste parole, l’8 ottobre 1971, il premier Pierre Trudeau spiegò perché aveva deciso di trasformare un concetto fino ad allora teorico — il multiculturalismo — in “politica ufficiale” del suo governo, e di tutti quelli che seguirono. Era la prima volta che il leader di uno Stato si impegnava formalmente a proteggere e promuovere la diversità, riconoscere i diritti delle popolazioni aborigene e sostenere l’uso del bilinguismo. Non fu una scelta “morale”, in realtà: il Partito liberale di Trudeau stava perdendo consensi in Québec, minacciato dal crescente sostegno al separatismo, e puntava a conquistare il voto delle comunità di “nuovi canadesi” in Ontario e British Columbia. Sta di fatto che la “diversità” è diventato un valore collettivo nel Paese delle Giubbe rosse.
Quarantacinque anni dopo, è toccato a un altro Trudeau, il figlio Justin, riportare in auge un principio che con il tempo sembrava essersi appannato. Il 27 giugno scorso, il giovane premier ha messo nero su bianco la filosofia nazionale, con una dichiarazione che sembra la continuazione di quella del padre: “Il multiculturalismo è la nostra forza, sinonimo di Canada quanto lo è la foglia di acero. Qualsiasi sia la nostra religione, il luogo in cui siamo nati, il colore della nostra pelle o la lingua che parliamo, siamo tutti cittadini uguali di questo grande Paese. Le nostre radici raggiungono ogni angolo del pianeta”.
Il tweet del premier Porte aperte “a chi fugge persecuzione, terrore e guerra, a prescindere dalla fede”
I numeri confermano. Un quinto dei canadesi è nato all’estero. Nelle principali città, da Toronto a Vancouver, quasi metà della popolazione è formata da minoranze. Eppure è difficile trovare sacche di segregazione come quelle presenti in tante periferie europee o statunitensi. La parola d’ordine è: integrazione. Ed è il più grande successo della politica di Ottawa. In un Paese in cui il ministro dell’Immigrazione, Ahmed Hussen, è di origine somala — e garantisce permessi di residenza temporanei a chi viene respinto dagli Usa di Trump — e le partite di hockey vengono trasmesse regolarmente in Punjabi oltre che in francese e in inglese, fino ad oggi nessuno si è mai sentito davvero straniero.
La politica d’inclusione di Trudeau jr ha ricevuto il plauso dell’Economist: “Oggi, nella sua solitaria difesa dei valori liberali, il Canada sembra veramente eroico”, ha scritto il settimanale. Una “fortezza di decenza, tolleranza e buon senso” che ogni anno, da un ventennio, apre le porte a 300.000 migranti, circa l’1% della popolazione (nel 2016 sono arrivati anche 46.000 profughi, in gran parte siriani) e offre ai nuovi arrivati una rete di “sponsor privati”, cittadini che si prendono la responsabilità di aiutarli durante il loro primo anno nel Paese.
La distanza che separa il Canada dagli Stati Uniti (ma anche dall’Europa della Brexit e del nazionalpopulismo) non è forse mai stata così ampia. “Siamo i campioni solitari del multiculturalismo tra le democrazie occidentali”, dice Stephen Marche, scrittore ed opinionista canadese. “Questa solitudine ci accompagnerà nei mesi e negli anni a venire, forse per sempre”. Trudeau lo sa e ne sta facendo il perno della sua politica: “A chi sta fuggendo persecuzione, terrore e guerra... i canadesi vi daranno il benvenuto, a prescindere dalla vostra fede”, ha twittato dopo l’altolà di Trump.
lunedì 30 gennaio 2017
Strage Quebec City, si va verso la 'deislamizzazione' dell'attentato
L'immediata solidarietà senza alcuna remora di Justin Trudeau (e di tutte le istituzioni locali e nazionali) al mondo musulmano, il puntare in maniera molto forte sul terrorista dal nome canadese (Alexandre Bissonnette), ignorando quello dal nome arabo (Mohammed Khadir), fino ad arrivare a qualche sito dove si parlerebbe di 'un solo terrorista', mentre l'altro sarebbe sentito addirittura in chiave di testimone, come sostiene con un tweet, citando fonti della polizia quebecchese, la giornalista Valérie Gaudreau: "Now only one suspect in #Quebec Mosque shooting. Alexandre Bissonnette. Mohammed Khadir not a suspect".
La sensazione è che si cerchi di andare verso una 'deislamizzazione' della strage di Quebec City, guarda caso proprio mentre qualcuno in Canada lancia l'idea di una legge liberticida contro l'islamofobia e mentre monta la protesta dei poteri globalisti contro il 'ban' di Donald Trump contro il mondo arabo. Solo un caso?
La sensazione è che si cerchi di andare verso una 'deislamizzazione' della strage di Quebec City, guarda caso proprio mentre qualcuno in Canada lancia l'idea di una legge liberticida contro l'islamofobia e mentre monta la protesta dei poteri globalisti contro il 'ban' di Donald Trump contro il mondo arabo. Solo un caso?
Strage Quebec City: terrorista ha urlato "Allah Akbar"
Erano almeno due i terroristi che hanno realizzato una strage all'interno della moschea di Quebec City, provocando almeno sei vittime, fra cui l'imam della moschea.
Il nome di uno dei due è chiaramente di origine araba, Mohamed Khadir e, secondo alcuni testimoni, uno dei due criminali, entrando nella moschea, avrebbe gridato il fatidico urlo: "Allah Akbar". Sempre un testimone sostiene che uno dei terroristi aveva un accento del Quebec.
"Nulla fa credere che ci siano altri sospettati", ha detto l'ispettore di polizia Denis Turcotte. I due sospetti, entrambi residenti a Quebec City, sarebbero studenti dell'Università Laval di Quebec City. Secondo una fonte vicina all'inchiesta, Khadir sarebbe di origine marocchina.
Intanto, tra i feriti tre sono in pericolo di vita e altri due sarebbero in condizioni critiche. Sono invece 39 le persone che sono riuscite e mettersi in salvo e che saranno sentite come testimoni.
Il nome di uno dei due è chiaramente di origine araba, Mohamed Khadir e, secondo alcuni testimoni, uno dei due criminali, entrando nella moschea, avrebbe gridato il fatidico urlo: "Allah Akbar". Sempre un testimone sostiene che uno dei terroristi aveva un accento del Quebec.
"Nulla fa credere che ci siano altri sospettati", ha detto l'ispettore di polizia Denis Turcotte. I due sospetti, entrambi residenti a Quebec City, sarebbero studenti dell'Università Laval di Quebec City. Secondo una fonte vicina all'inchiesta, Khadir sarebbe di origine marocchina.
Intanto, tra i feriti tre sono in pericolo di vita e altri due sarebbero in condizioni critiche. Sono invece 39 le persone che sono riuscite e mettersi in salvo e che saranno sentite come testimoni.
Terrorismo islamico: Quebec City, solidarietà di Gentiloni e Tajani
Reazioni di solidarietà e vicinanza sono quelle espresse dall'Italia e dall'Unione Europea nei confronti del Canada e di Justin Trudeau, ma anche dei musulmani canadesi, dopo l'attentato terroristico che ha portato alla morte di sei persone all'interno di una moschea di Quebec City.
Il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, sottolinea: "Il governo italiano è vicino alle vittime, ai familiari e alla comunità musulmana canadese oltre che al governo e al presidente Trudeau. E' un modo anche per confermare il nostro atteggiamento di vicinanza e solidarietà alla stragrande maggioranza cittadini di fede islamica che vivono nei nostri Paesi e città e che rifiutano il terrorismo fondamentalista e anzi ne sono spesso vittime e bersagli".
Antonio Tajani, a Palazzo Chigi per incontrare proprio Gentiloni, a nome del Parlamento europeo, di cui è presidente, sottolinea che "la violenza non è mai una risposta contro il terrorismo, la soluzione si chiama dialogo e l'Unione europea crede nel dialogo interreligioso. Abbiamo lavorato e continueremo a lavorare in questa direzione".
La strada, spiega Tajani, è "formare i giovani nelle scuole, cominciare a far capire che chi dice di uccidere in nome di Dio in realtà - avverte - uccide Dio. Non è questa la strada".
Il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, sottolinea: "Il governo italiano è vicino alle vittime, ai familiari e alla comunità musulmana canadese oltre che al governo e al presidente Trudeau. E' un modo anche per confermare il nostro atteggiamento di vicinanza e solidarietà alla stragrande maggioranza cittadini di fede islamica che vivono nei nostri Paesi e città e che rifiutano il terrorismo fondamentalista e anzi ne sono spesso vittime e bersagli".
Antonio Tajani, a Palazzo Chigi per incontrare proprio Gentiloni, a nome del Parlamento europeo, di cui è presidente, sottolinea che "la violenza non è mai una risposta contro il terrorismo, la soluzione si chiama dialogo e l'Unione europea crede nel dialogo interreligioso. Abbiamo lavorato e continueremo a lavorare in questa direzione".
La strada, spiega Tajani, è "formare i giovani nelle scuole, cominciare a far capire che chi dice di uccidere in nome di Dio in realtà - avverte - uccide Dio. Non è questa la strada".
Terrorismo islamico, uccise sei persone a Quebec City
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(foto di Francis Vachon / The Canadian Press) |
La sparatoria è avvenuta al centro culturale islamico, le vittime erano tutti uomini, fra i 35 e i 70 anni.
Sono state arrestate due persone, una delle quali dopo un caccia all'uomo terminata vicino l'Ile d'Orleans. Una sarebbe ancora in fuga. E' stato creato un perimetro di sicurezza attorno alla zona della sparatoria ma la polizia del Quebec ha reso noto che ora la situazione è sotto controllo.
Al momento degli spari, gli uomini erano nella parte bassa della moschea che pregavano, mentre donne e bambini in quella superiore
Il primo ministro Justin Trudeau, che ha parlato di "violenza senza senso", ha condannato quello che ha definito un "attentato terrorista contro i musulmani in un centro di culto e accoglienza". "La diversità è la nostra forza e la tolleranza religiosa è un valore che, come canadesi, abbiamo caro".(fonte: AGI)
lunedì 28 settembre 2015
Videotron pronto per l'NHL, ora si può sognare
![]() |
La home page del Videotron presenta il match di stasera |
L'impianto che verrà inaugurato stanotte può offrire una capacità di 18.259 posti a sedere.
L'entusiasmo in città è palpabile, in particolare perché domani si giocherà la sfida vera, quella fuori dal ghiaccio, visto che a New York, i rappresentanti di Quebec City e Las Vegas, le due uniche città rimaste in gara a caccia di un posto come 'expansion team', sottoporanno i progetti finali al 'board' NHL. E, se anche l'annuncio verrà dato per dicembre, nel 'pacchetto' di Quebec City farà bella mostra di sé un video con gli highlight degli eventi che hanno portato alla serata di lunedì.
martedì 17 settembre 2013
WTA Quebec, Lucie Safarova trionfa nell'edizione 2013
Lucie Safarova, numero 48 del tennis mondiale, ha conquistato il Challenge Bell di Quebec City, torneo WTA nato nel 1993 e quinto titolo vinto in carriera dalla ceca, che ha sconfitto in finale la neozelandese Marina Erakovic, numero 68, con il punteggio di 6-4, 6-3.
Prima che in Canada la 26enne di Brno veva vinto a Estoril (2005), Forest Hills (2006 e 2008) e Gold Coast (2006), mentre nel 2009 aveva perso in finale proprio a Quebec City. Anche la Erakovic vantava una presenza (e una sconfitta) in finale, quando nel 2011 venne battuta da Barbora Záhlavová-Strýcová.
L'unica azzurra in gara nella manifestazone quebecoise (torneo WTA International con montepremi di 235mila dollari che
si gioca su campi in cemento), Camila Giorgi, è uscita al primo turno, superata dall'americana Lauren Davis.
Prima che in Canada la 26enne di Brno veva vinto a Estoril (2005), Forest Hills (2006 e 2008) e Gold Coast (2006), mentre nel 2009 aveva perso in finale proprio a Quebec City. Anche la Erakovic vantava una presenza (e una sconfitta) in finale, quando nel 2011 venne battuta da Barbora Záhlavová-Strýcová.
L'unica azzurra in gara nella manifestazone quebecoise (torneo WTA International con montepremi di 235mila dollari che
si gioca su campi in cemento), Camila Giorgi, è uscita al primo turno, superata dall'americana Lauren Davis.
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