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martedì 14 febbraio 2017

Trump-Trudeau, prove di disgelo a Washington

(foto Pablo Martinez Monsival / Associated Press)
Viene riprodotto di seguito il servizio pubblicato dall'agenzia ANSA, attraverso la propria inviata, Anna Lisa Rapanà, relativo all'incontro avvenuto a Washington fra ilpresidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il primo ministro del Canada, Justin Trudeau.

Trump,"cacciamo i criminali". E' 'caso Flynn', in bilico
Primo faccia a faccia Trump-Trudeau, prove di collaborazione

di Anna Lisa Rapanà

"Quello che stiamo facendo è cacciare via i criminali". Donald Trump difende così i raid delle forze dell'ordine contro immigrati illegali arrestati a centinaia in pochi giorni. Ancora una volta difende il suo operato con fermezza, affermando che sono gli americani a chiederglielo.
E' il tema caldo a Washington che squarcia inevitabilmente il clima pacato e diplomatico della conferenza stampa con il premier canadese Trudeau alla sua prima visita nella Casa Bianca di Trump. Mentre montano le tensioni anche sul 'caso Flynn' con la Casa Bianca che in serata ha confermato: il presidente sta "valutando la situazione" che riguarda il suo consigliere per la sicurezza, finito nella bufera dopo indiscrezioni di sue conversazioni con l'ambasciatore russo sulle sanzioni a Mosca. Davanti a voci sempre più insistenti che il suo posto nella West Wing è in bilico.
E' su questo sfondo che si è tenuto il primo faccia a faccia alla Casa Bianca tra Donald Trump e Justin Trudeau. I due leader trovano un terreno comune sulla creazione e la salvaguardia di posti di lavoro nel Nord America e sulla necessità di rafforzare la lotta al terrorismo. Ma sul tavolo restano i nodi dei rapporti commerciali, col presidente americano che mette in discussione il Nafta e la politica di
accoglienza dei rifugiati. Il premier canadese ha ribadito che il Canada resterà fedele ai suoi valori in tema di accoglienza dei profughi, ha però descritto con gli Usa un rapporto strettissimo, possibile grazie al "mutuo rispetto" e non ha mancato di sottolineare che no, non è venuto a Washington per "dare lezioni".
Così la visita a Washington del giovane e carismatico leader del nord si gioca su un delicato equilibrio, che trova poi una 'causa comune' immediata nel sostegno alle donne business leader con il lancio di una task force Usa-Canada volta proprio a potenziare il ruolo delle donne nel business. E con l'aiuto di Ivanka. La 'first daughter' è infatti testimonial dell'iniziativa, seduta accanto al premier canadese nella tavola rotonda che ha riunito donne manager dei due paesi.
Non si ferma nel frattempo l'acceso dibattito circa il bando sugli ingressi negli Usa di persone provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana che resta sospeso dopo che una corte d'appello federale in California ha respinto il ricorso con cui l'amministrazione Trump aveva chiesto il ripristino dell'ordine esecutivo. Resta l'ipotesi di una nuova stesura del testo, che riavvierebbe il processo scongiurando - o quanto meno interrompendo - una potenziale lunga battaglia legale diretta alla Corte Suprema dove manca ancora la conferma del nono giudice, Neil Gorsuch, indicato da Trump per ristabilire l'equilibrio dopo la scomparsa del conservatore Antonin Scalia.
Nell'occhio del ciclone adesso però c'è Flynn. Lui si è scusato con collaboratori e colleghi, in particolare per aver coinvolto il vice presidente Mike Pence e aver sviato l'attenzione dal messaggio dell'amministrazione. Dapprima Trump non si esprime, mentre Kellyanne Conway, una delle più strette collaboratrici, garantisce che il presidente ha "piena fiducia" nel suo consigliere per la sicurezza nazionale. Salvo poi essere surclassata da una nota di Sean Spicer, portavoce della Casa Bianca: il presidente "sta valutando la situazione". I media non mancano di notare la discrepanza, fino a parlare di contraddizioni. Come ad avvalorare la tesi dei malumori che prendono il sopravvento nella West Wing, con indiscrezioni che segnalano tensioni tali da far ipotizzare già un 'rimpasto' possibile, e che potrebbe riguardare anche il chief of staff Rince Priebus. Considerato in principio una scelta di 'garanzia' verso il partito repubblicano, secondo alcuni osservatori potrebbe adesso rimanere vittima delle tensioni interne al più prossimo entourage del presidente. Così come Sean Spicer, la cui 'performance' non sarebbe sempre stata giudicata soddisfacente.

mercoledì 1 febbraio 2017

Strage Quebec City, chi è Alexandre Bissonnette

Viene riprodotto di seguito per intero l'articolo che Claudio Salvalaggio ha scritto per l'agenzia ANSA e dedicato alla figura di Alexandre Bissonnette, accusato della strage di Quebec City.

Canada: killer moschea 'lupo solitario' nazionalista
Noto su web per sue simpatie estremiste. Scena muta in tribunale

di Claudio Salvalaggio

Un 'lupo solitario' non radicalizzato ma noto per le sue simpatie verso i movimenti nazionalisti e seguace di Donald Trump e Marine Le Pen, come risulta dal suo profilo Facebook. E' il ritratto della banalità del male quello di Alexandre Bissonnette, 27enne studente franco-canadese di scienze politiche alla locale università Laval, arrestato e accusato dell'attacco alla moschea di Quebec City, dove sono sono stati uccisi sei fedeli ed altri cinque sono rimasti gravemente feriti.
 Un "atto terroristico contro i musulmani" - come l'ha definito subito il premier canadese Justin Trudeau - che ha suscitato un'ondata internazionale di condanne e di solidarietà, in particolare dal mondo cattolico. E che ha seminato paura tra il milione di musulmani che, come molti altri immigrati e rifugiati, avevano scelto l'ospitale Canada pensando di essere al sicuro da xenofobia e razzismo.
Bissonnette è comparso ieri brevemente in tribunale ma, pur agitandosi molto, non ha detto una parola, neppure di scuse. Era stato lui, dopo la strage, a chiamare il 911 (il numero di emergenza) per dire che voleva consegnarsi collaborando con la polizia. Gli inquirenti sono convinti che abbia agito da solo e che non sia in contatto con gruppi terroristi ma il movente di tanta violenza non è ancora stato accertato. La polizia sta scandagliando la sua vita, anche sui social network, e ascoltando famigliari, amici, compagni di università. Il giovane non era noto alle forze dell'ordine. Ma era ben conosciuto dagli attivisti che monitorano i gruppi estremisti in Quebec, ha spiegato François Deschamps, dirigente di una ong che si occupa di rifugiati. "E' con dolore e rabbia che apprendiamo l'identità del terrorista Alexandre Bissonnette, sfortunatamente noto a molti attivisti in Quebec per le sue posizioni a favore dei nazionalisti, pro Le Pen e anti femministe all'università Laval e sui social media", ha osservato. Su Facebook aveva espresso sostegno anche per 'Generation nationale'', un gruppo ostile al multiculturalismo. Ma la sua simpatia più forte era per Marine Le Pen e il suo Front National, che fa presa sulla comunità francofona del Quebec con i suoi slogan xenofobi, guadagnandosi l'appoggio dei suprematisti bianchi.
Un portavoce del Front National, Alex Frederiksen, ha definito "deplorevole" l'attacco alla moschea ma, ha precisato, "Marine le Pen non deve scusarsi per i commenti che la gente fà sulla propria pagina di Facebook". In effetti Bissonette è solo uno dei tanti giovani calamitati dalla sirena del nazionalismo di marca xenofoba, la stessa che ha spinto alla vittoria Donald Trump in Usa. Per ora non è dato sapere cosa l'abbia indotto a passare dalla dichiarata ostilità per gli immigrati ad un'azione armata. Si sa però che ha imparato ad usare le armi tra i cadetti, nella cui uniforme appare su Fb.
Dopo lo shock per la tragedia, oggi a Quebec City è il tempo della solidarietà. Una messa in ricordo delle vittime dell'attentato si terra' questa sera alle 19.00 nella chiesa Notre-Dame-de-Foy, che si trova proprio di fronte alla moschea. Ieri la diocesi locale aveva promosso una veglia terminata con una marcia di solidarietà alla comunità musulmana, alla quale ha partecipato anche Trudeau: "Trentasei milioni di cuori sono straziati insieme ai vostri", ha detto il premier canadese.