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lunedì 25 giugno 2018

Giovane indiana massacrata e uccisa nel Manitoba

La vittima, Serena McKay
Tragedia nella tribù indiana della Sagkeeng First Nation, nel Manitoba, in una violenta rissa fra ragazze 'indigene', ovvero 'pellerossa'. In due, una 16enne e una 17enne, si sono avventate con calci e pugni contyro la 19enne Serena McKay.
Il massacro della giovane ragazzo è stato ripreso con dei cellulari e trasmesso in diretta su Facebook. Per la più giovane delle due ragazze incriminate, che ha ammesso la propria colpevolezza, la procura (la Corona, come si dice in Canada), ha richiesto una pena di sette anni di reclusione, mentre la difesa ha chiesto una condanna commisurata all'età minorenne, ovvero tre anni.
Le tre ragazze si trovavano insieme a una festa, nella quale avrebbero avuto un alterco. Colpita ripetutamente, la McKay sarebbe stata lasciata all'aperto, dove sarebbe poi morta di ipotermia.

sabato 31 marzo 2018

Indigeni canadesi, dal Papa nessuna scusa agli indiani

Papa Francesco
Papa Francesco non chiederà scusa a nome della Chiesa per le questioni legate alle scuole e agli indigeni in Canada. Il presidente della Conferenza Canadese dei Vescovi Cattolici, il Reverendo Lionel Gendron, ha inviato una lettera ai popoli indigeni in Canada nella quale indica che "Papa Francesco, dopo aver attentamente considerato l'invito" della Commissione per la verità e la riconciliazione, e dopo aver "discusso ampiamente della questione con i vescovi del Canada, ha deciso di non poter rispondere personalmente". E' quanto si legge in una nota della conferenza episcopale canadese.
Era stato lo stesso premier canadese Justin Trudeau, lo scorso maggio, in occasione della sua visita in Vaticano, a invitare il Papa a visitare il suo Paese e a portare le scuse per il ruolo della Chiesa cattolica nel sistema delle cosiddette Indian Residential School, una rete di scuole fondate dal governo canadese e amministrate dalle chiese cattoliche che rimuovevano i figli degli indigeni dalla loro cultura per assimilarli nella cultura dominante.
Scrivendo a nome dei vescovi cattolici del Canada, il presidente Gendron nella lettera riconosce la necessità di migliorare le relazioni con le popolazioni indigene. "Condividendo il vostro dolore, (il Papa, ndr) ha incoraggiato i vescovi a continuare a impegnarsi in un intenso lavoro di riconciliazione e solidarietà con le popolazioni indigene, e a collaborare in progetti concreti volti a migliorare la condizione dei primi popoli... In questo contesto, si può prendere in considerazione una futura visita papale in Canada, tenendo conto di tutte le circostanze, e compreso un incontro con le popolazioni indigene come massima priorità". "I vescovi del Canada sono ugualmente convinti - si legge ancora nella nota - della necessità primaria di un lavoro aggiuntivo da svolgere a livello più locale, in termini di incontri autentici che affrontino gli aiuti e le ferite, i sogni e le aspirazioni, i bisogni e le tradizioni delle popolazioni indigene". (fonte: ANSA)

martedì 27 marzo 2018

Trudeau e il ridicolo balletto delle scuse: ora tocca ai Tsilhqot'in

Justin Trudeau continua a scusarsi, e ormai il refrain sembra quello di un film comico. Il primo ministro canadese si è scusato con gli omosessuali, con le lesbiche, con le religioni che non siano la sua, con i 'diversamente bianchi', con gli ammalati e i penitenti, con i peccatori e i fumatori di marijuana. Ora il 'giovin politico' si genuflette di fronte all'ennesima minoranza, quella degli indiani, pardon 'aborigeni', perché sennò da queste parti si offendono.
Le scuse arrivano con un ritardo di circa 150 anni, e probabilmente non serviranno a molto, anzi, a nulla. Allora capitò che sei capi tribù Tsilhqot'in, correva il 1864, vennero chiamati a partecipare a ciò che vennero loro presentate come trattative di pace che poi finirono nella guerra di Chilcotin o massacro di Bute Inlet.
I capi indiani Furono invece accusati di avere ucciso 14 operai che lavoravano alla costruzione di una strada, vennero quindi processati, condannati e impiccati.
Cinque vennero giustiziati nell'insediamento di Quesnel, un sesto vicino a New Westminster, dopo avere cercato di offrire un indennizzo.
Il fatto è che gli indiani massacrarono effettivamente i 14 operai. Cui però Trudeau non ha chiesto scusa.

lunedì 8 gennaio 2018

Nomi indiani al posto di quelli ufficiali, la comica della nuova toponomastica canadese

Basta 23rd Avenue, ma l'impronunciabile Maskekosihk Trail
Si riproduce per intero un articolo tratto dal sito internet de Il Post, dedicato alla nuova toponomastica canadese e ai problemi sollevati dalle nuove proposte governative, tese a sostituire gli storici nomi franco-britannici con altri, trattati dalla tradizione indiana delle popolazioni 'native', una sorta di 'debito storico' che il governo di Justin Trudeau sente di dovere nei confronti degli aborigeni nordamericani.

La nuova toponomastica canadese 
In realtà è vecchia: negli ultimi anni molti nomi di strade e di luoghi sono stati cambiati con gli equivalenti delle popolazioni native

In Canada da anni si sostituiscono, o si provano a sostituire, toponimi di origine europea con parole o nomi delle etnie native canadesi. Lo si fa seguendo una raccomandazione della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni delle Nazioni Unite, che riconosce alle popolazioni native il diritto di conservare i propri nomi per indicare comunità ed elementi geografici. Nel 2017 più di 600 toponimi indigeni sono stati aggiunti ai registri nazionali, e oggi circa 30mila dei 350mila toponimi canadesi sono di origine indigena. Uno di questi è la stessa parola “Canada”, che nella lingua irochese significa “villaggio”.

Nel 2001 alcune località intorno a Ottawa – la capitale canadese, che prende il suo nome dall’etnia nativa canadese degli Odawa – furono accorpate alla città: si crearono così diverse situazioni di “doppioni”, strade che si chiamavano allo stesso modo e che da quel momento si ritrovarono nella stessa città. Sono circa 80, e da 15 anni si sta provando a cambiarne i nomi: ma spesso non è semplice, ha spiegato un articolo dell’Economist, perché molti residenti non sono d’accordo. Lo scorso novembre il comune ha per esempio rinominato una delle strade chiamate River Street con un nome alternativo, Onigam Street: “onigam” in algonchino significa “trasporto di merci”.

Un altro nome che ha creato delle dispute è stato Maskekosihk Trail (letteralmente “sentiero del popolo della terra della medicina”), scelto dal comune di Edmonton, il capoluogo della provincia dell’Alberta, per sostituire 23rd Avenue. Un consigliere comunale si è opposto alla decisione dicendo che il nuovo nome è più difficile da pronunciare del precedente: i rappresentanti dei Cree – la principale etnia nativa canadese – hanno risposto dicendo di aver dovuto «affrontare degli scioglilingua» sin dall’arrivo degli europei.

In alcuni casi i nomi non sono stati sostituiti, nonostante la volontà di farlo: quando la provincia dei Territori del Nord-Ovest si separò da quella di Nunavut nel 1999, fu proposto di cercarle un nome più breve. La seconda proposta che ricevette più voti fu “Bob”. Alla fine però non se ne fece nulla e il vecchio nome fu mantenuto. In un altro caso, nel 2015, tutti i nomi alternativi proposti per un fiume, il Mackenzie, sono stati accettati: ora lo si può chiamare Dehcho, Deho, Kuukpak, Nagwichoonjik o Grande Rivière. Hanno tutti lo stesso significato, cioè “grande fiume”.

I Nakoda, un’altra etnia nativa canadese, vorrebbero poi che la città di Calgary, la terza più grande del Canada, diventasse “Wichispa Oyade”, che significa “città dell’Elbow”, dal nome di uno dei tre fiumi che la attraversano. I Siksika invece vorrebbero che si chiamasse “Mohkinstsis-aka-piyosis”, che significa “molte case sul fiume Elbow”. L’amministrazione provinciale però non ha mai considerato di rinominare la città, il cui nome deriva da quello della baia di Calgary, in Scozia.

In alcuni casi, diversamente rispetto a quello di Calgary, le ragioni a favore della sostituzione di un toponimo sono legate a ciò che fece la persona da cui deriva. Il primo ministro canadese Justin Trudeau ha per esempio cambiato il nome dell’edificio in cui si trova il suo ufficio, che era chiamato palazzo Hector-Louis Langevin, perché era il nome di un avvocato che provò a tagliare i legami tra i bambini nativi canadesi e le loro famiglie facendoli vivere nei convitti da lui fondati. Per una ragione simile, i gruppi che rappresentano i nativi canadesi vorrebbero cambiare nome al fiume Cornwallis, che si trova nella Nuova Scozia: il suo nome deriva infatti da quello di un governatore britannico che offriva delle ricompense a chi gli portava gli scalpi della tribù Mi’kmaq.

Una delle più recenti discussioni su questo tema riguarda Amherst Street, una strada di Montreal lunga 1,5 chilometri. Prende il suo nome da Jeffrey Amherst, un comandante dell’esercito britannico che a metà del 18esimo secolo combatté contro i popoli nativi alleati dei francesi, in quelli che oggi sono il Canada e gli Stati Uniti. Amherst chiamava i nativi americani «razza esecrabile» e diceva che avrebbero dovuto essere completamente sterminati. Per questo l’Amherst College del Massachusetts non riconosce più il comandante come propria mascotte, sebbene ne abbia mantenuto il nome. Montreal vuole fare lo stesso con la sua strada, ma per ora non ha ancora trovato un nome sostitutivo: una delle opzioni prese in considerazione è Pontiac, il nome di un capo Odawa che si ribellò contro Amherst.

martedì 22 settembre 2015

Buffy Sainte-Marie, suo il miglior disco canadese 2015

Buffy Sainte-Marie
Buffy Sainte-Marie ha vinto l'edizione 2015 dei Polaris Music Prize, svoltasi a Toronto.
L'album "Power In the Blood" è stato infatti dichiarato miglior disco canadese del 2015.
Assieme alla vittoria, per la cantautrice canadese arrivano anche un assegno da 50mila dollari (ovviamente canadesi) e la possibilità di esibirsi assieme alla Toronto Symphony Orchestra.
Dietro di lei si sono classificati gli album "If You're Reading This It's Too Late", di Drake, e "Goon", di Tobias Jesso Jr.
La Sainte-Marie, 74 anni, è una aborigena (cioè, indiana) nata in una riserva Piapot nella Qu'Appelle valley (Saskatchewan, nel Canada centrale). Adottata dai coniugi Sainte-Marie, ha trascorso infanzia e adolescenza nel Maine.
Le sue canzoni hanno da sempre toccato i temi cari i diritti dei nativi americani.