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sabato 2 dicembre 2017

"Napoli milionaria", il poster che indigna gli italiani del Canada

Il poster 'incriminato'
C'è un'idea di 'italiano' nel mondo, Canada compreso, nei confronti della quale è difficile lottare. E che a volte, peraltro, ci torna pure comoda. Io stesso, nei lontani tempi in cui vivevo Toronto, ero un 'italiano' perfetto: mangiavo gli spaghetti una volta ogni due giorni, chiamavo la mamma due volte al giorno, parlavo a voce alta, gesticolavo e baciavo sulle guance i miei amici, pure quelli maschi. Insomma, nulla di più lontano dal freddo canadese di stampo britannico, per il quale (e non solo per lui), l'italiano medio è moro e abbronzato, di carnagione olivastra, ama le spiagge di sassi presso cui si ferma, magari con un filo d'erba in bocca, a osservare il tramonto scendere lontano sul mare oppure a parlare amabilmente con il vecchio pescatore di turno, prima di tornare nella casa dei nonni, hablanti un qualsiasi dialetto meridionale (l'importante è che le donne vestano un fazzoletto nero in testa), meglio se a dorso d'asino.
L'immagine dell'Italia nel mondo è questa e, in qualche caso, lo è veramente ancora adesso. Ma gli stranieri negli stereotipi ci sguazzano, e chissenefrega se per me, che vengo da Milano, sono più vicine culturalmente Monaco di Baviera, Budapest o Zurigo rispetto a Calatafimi o Agrigento.
Nasce da qui la polemica, scoppiata sulle pagine del Corriere Canadese, legata al poster con cui è stata presentata la commedia "Napoli milionaria", di Eduardo De Filippo, presentata al Festival di Stratford in questi giorni.
La figura degli italiani nel mondo è ancora quella de "La ciociara"
Paola Chiarini, autrice dell'articolo, lo descrive così: "Una coppia, sullo sfondo nudo di una foto, lei con del denaro tra le mani, lui con filoncini di pane e salami infilati  nei pantaloni e salsicce intorno al collo... Non c’è nessun momento, in nessuna scena l’evidenza di un personaggio simile a quello del promo/poster. Anzi, il protagonista, quando viene invitato a mettersi a tavola per un banchetto organizzato per festeggiare la liberazione, non da nessuna importanza al cibo che viene messo a tavola e quasi come un disco rotto, non fa altro che raccontare le amare vicissitudini della trincea. Il manifesto dovrebbe indicare già un accenno al contenuto del lavoro che gli spettatori si appresteranno ad assistere. Spettatori per lo più di lingua inglese, per i quali l’opera è stata tradotta. Non è quello il personaggio che si presenterà a loro in palcoscenico. Osservando quell'uomo così conciato si sottolinea uno stereotipo di italiano per niente simile a quello interpretato dai personaggi del dramma, un italiano che non esiste nella storia, un italiano ridicolizzato e sminuito, il cui unico pensiero è quello del pane e salame. Con tale immagine non solo si fa torto ad un popolo che per guadagnarsi da vivere ha sfidato oceani e discriminazioni, ma anche all'autore della commedia che è uno dei maggiori artisti del Novecento... L’immagine del promo/poster non descrive in nessun modo il concetto essenziale dell’opera, tanto meno la figura dell’italiano che un pubblico non italiano dovrebbe imparare a conoscere anche attraverso una piece teatrale e un Festival che sceglie di portarla in scena in lingua inglese".
Una reazione dura, forse perfino esagerata, almeno per noi che siamo rimasti da 'questa parte' dell'oceano. Va detto che la Napoli di Eduardo (ma anche l'Italia di Eduardo) viveva certamente di pane e salame, e i soldi vi erano una rarità, per tutti. L'immagine un po' grottesca del poster non contiene, a mio avviso, tutti questi caratteri offensivi, anche e soprattutto visto che sul ritorno di fiamma dell'enogastronomia l'Italia ci campa e ci conta parecchio. Inoltre, il manifesto originale del film non mostra né pane né salame, ma una serie di personaggi che probabilmente da una cucina simile arrivavano. Insomma, è vero che spesso si rimane vittima degli stereotipi, ma forse, a volte, sono le vittime stesse che poco fanno per cambiarli.

Il manifesto originale del film: italianità stereotipata che trasuda da tutti i pori

sabato 21 gennaio 2017

Kevin O'Leary, la risposta dei conservatori a Justin Trudeau

Viene riprodotto di seguito per intero l'articolo che Francesco Veronesi, direttore del Corriere Canadese, ha scritto relativamente alla figura di Kevin O'Leary.

O'Leary, il miliardario che tenta la scalata ai Tory

di Francesco Veronesi

In Italia abbiamo avuto Silvio Berlusconi, negli Stati Uniti è il turno di Donald Trump. Il Canada ora è la nuova arena politica dell’ennesimo milionario che tenta la scalata a un partito per diventare il leader di un Paese occidentale. Kevin O'Leary ha lanciato la sua sfida agli altri 13 candidati alla leadership del Partito Conservatore, primo passo di un possibile lungo braccio di ferro con il primo ministro liberale Justin Trudeau che durerà dal prossimo maggio fino al 2019, quando il Canada tornerò alle urne.
Ma chi è O’Leary? Nato a Montreal 62 anni fa, figlio di due immigrati - padre irlandese e madre libanese - sin da giovanissimo mostra una grande abilità e passione per il mondo della finanza e degli investimenti. Dopo essersi laureato alla University of Waterloo e aver proseguito gli studi alla Ivey Business School at The University of Western Ontario, O’Leary decide di avviare la sua impresa. E lo fa dal basement di casa sua nel 1986 fondando con altri due soci la Softkey, società specializzata nella creazione di software. Dopo le prime difficoltà la compagnia inizia a consolidarsi sul mercato, puntando sullo sviluppo di programmi educativi per le famiglie e per i bambini. Nel 1993, dopo l’acquisto di altre due società - WordStar e Spinnaker Software - la sua compagnia diventa tra le più importanti di questo segmento di mercato, conquistando la supremazia dopo la scalata a un’altra azienda, la The Learning Company (TLC), che diverrà poi la compagnia principale del suo gruppo. Poi, nel 1999, la svolta: O’Leary vende la nuova azienda in blocco alla Mattel, diventando multimilionario.
Negli anni successivi è protagonista di numerosi altri investimenti, mentre lentamente inizia a diventare un volto televisivo per le sue apparizioni sulla Cbc e sulla Abc. Negli ultimi anni, infine, O’Leary diventa un personaggio pubblico per il suo ruolo nei due reality Dragon’s Den e Shark Tank.
Per buona parte del 2016, quando si stava iniziando a riempire la griglia dei candidati alla leadership conservatrice, O’Leary rende pubblica la sua volontà di entrare in politica per “salvare il Paese da Justin Trudeau”. Ma prima di farlo vuole capire se esiste o meno la possibilità di creare consenso - della base e nei vertici di partito - attorno alla sua potenziale candidatura.
Mercoledì, infine, O’Leary mette da parte le titubanze di questi mesi e ufficializza la sfida agli altri 13 candidati. Nel suo programma, sintetizzato durante alcune interviste televisive, viene identificata la fascia elettorale da recuperare per sconfiggere i liberali alle prossime elezioni: i giovani dai 18 ai 35 anni. Grande enfasi, infine, sulla lotta al debito pubblico e sul rilancio dell’economia.

venerdì 17 maggio 2013

Gianni Bardini dal Canada alla Colombia, l'ambasciatore in Toscana style


Dal Toronto Bogotà, ma non solo, nell'affascinante curriculum politico di Gianni Bardini che, va detto, ha fatto 'quasi' come me: invaghitosi del Canada, ha poi 'tradito' la terra 'a nord del confine' per la Colombia. Io invece ho scelto di tornare in Italia.
Da agosto questo signore toscano dai modi gentili, che ho spesso visto sorridente al Corriere Canadese, rappresenta gli interessi italiani nel difficile Paese sudamericano. Il tutto dopo l'espresso gradimento del governo di Juan Manuel Santos (presidente colombiano e sosia del comandante Kirk, peraltro interpretato dal canadesissimo William Shatner).
Bardini, nato a Siena nel 1959 entra in carriera diplomatica nel 1984. Il suo primo incarico alla Farnesina è al Cerimoniale e, successivamente, al Servizio Stampa. Nel 1986 parte per Toronto e poi nel 1990 è a Tunisi. Al suo rientro a Roma nel 1994 è assegnato alla Direzione Generale Affari Economici. Nel 1998 parte per Melbourne dove è Console Generale e nel 2001 si trasferisce alla Rappresentanza permanente presso il Consiglio Atlantico a Bruxelles. Nel 2005 rientra a Roma alla Direzione Generale Cooperazione
Politica Multilaterale ed i Diritti Umani. Nel 2008 torna a Toronto con l`incarico di Console Generale.
(foto tratta da Internet)

martedì 14 maggio 2013

Corriere Canadese: pubblicazioni sospese, ma la testata va riaperta al più presto

Cosa succede al Corriere Canadese? Succede che il più grande e storico giornale italiano all'estero (venne fondato da Dan Iannuzzi nel 1954), punto di riferimento per la comunità italocanadese (oltre un milione e mezzo di persone, mica cotiche), ha deciso di sospendere le pubblicazioni. E al Corriere io ci sono anche stato, durante i miei quasi tre anni di Canada. Ed è per questo che la notizia mi fa ancora più male. Perché conosco chi ci lavora, e bene.
Ora leggo da Wikipedia che "il giorno 4 maggio 2013, la direzione della Multimedia Nova Corporation ha dovuto sospendere le pubblicazioni del giornale in modo indeterminato, con messa in liquidazione della testata a causa dell'interruzione dei pagamenti da parte dell'Italmedia, l'editore del Corriere".
Sul sito del Corriere leggo le parole sconsolate di Franco Siddi, segretario Generale della FNSI, che non portano soldi, ma tanta solidarietà, e almeno è qualcosa, soprattutto quando, nelle righe conclusive del suo intervento sottolinea: "Ai colleghi la piena solidarietà e l'impegno a non lasciarli soli, a far sentire comunque la loro voce – che da oggi diventa di speranza in una riapertura al più presto possibile – da parte della Federazione Italiana della Stampa e mia personale". La speranza è che questa bella frase non rimanga tale, ma si solidifichi presto in una fattiva riapertura della testata.
Aggiungo, peraltro senza conoscere dati e numeri, che sebbene sia comprensibile il peso dei costi della carta e della stampa, almeno la testata online la si poteva lasciare tranquillamente operativa. Oppure il 'colosso' Corriere (perché tale è) è franato così, all'improvviso, sulle proprie gambe, come un brontosauro finito nelle sabbie mobili?
Chiudo con le parole del direttore, Paola Bernardini, con cui ho avuto il piacere di lavorare, nel suo articolo di 'commiato' (spero davvero temporaneo): "Questa drastica sospensione della pubblicazione del Corriere colpisce una redazione già provata da una pesante ristrutturazione e che da quattro anni lotta con i contributi tagliati, il Milleproroghe, gli effetti della crisi economica globale, il magro fatturato pubblicitario (ps: lo so bene, c'ero anch'io in quei giorni...)... Il Corriere avrà un futuro? La chiusura definitiva sarebbe un 'delitto editoriale'. Perché un quotidiano che ha quasi 60 anni di storia, il secondo più antico a Toronto dopo lo Star, non avrebbe dovuto subire tutto questo. Doveva e deve essere considerato un bene prezioso, di cui si avrà la percezione solo quando verrà a mancare".
E, aggiungo, faccia qualcosa quello stesso Ordine che da noi giornalisti pretende di essere giustificato rimanendo troppo spesso sordo ai nostri bisogni, alle sopraffazioni, alle umiliazioni cui siamo costretti ad assistere e a subire, quasi sempre da parte degli editori. Faccia qualcosa la politica, anche quella appena insediata a Ottawa e proveniente dall'Italia. Facciano qualcosa quelli che dicono sempre di essere 'pronti a fare qualcosa' quando serve, ma solo se serve a loro. Facciano qualcosa gli imprenditori, e sono tanti, che in Canada dividono il proprio cuore con l'Italia. Investire sull'informazione non è per forza un 'vuoto a perdere', se fatto con intelligenza e limpidezza. Le persone capaci al Corriere Canadese ci sono e le ho conosciute personalmente. Meritano rispetto e meritano di proseguire a fare quello che sanno fare meglio e che è il loro lavoro: quello del giornalista.
(foto tratta dalla home page del Corriere Canadese)