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martedì 20 ottobre 2015
Canada al voto: proiezioni, la costa atlantica promuove Trudeau
Tutto secondo le previsioni: i primi risultati delle elezioni canadesi provenienti dalla costa atlantica danno in testa il Partito Liberale in maniera abbastanza netta. Il movimento capeggiato da Justin Trudeau avrebbe infatti letteralmente trionfato, secondo le prime proiezioni, sia nel Newfoundland che nel Labrador. Sei dei sette seggi delle due province sarebbero ai andati ai Liberali, con il solo Jack Harris (NDP) a evitare lo 'sweep' dei Liberals.
lunedì 19 ottobre 2015
Canada al voto, l'articolo de "Il Manifesto"
Canada al voto, ma sembra un referendum su sicurezza e immigrazione
di Guido Caldiron
Gli ultimi sondaggi nazionali in vista del voto di domani per il rinnovo del parlamento federale indicano un probabile testa a testa tra i conservatori di Harper, stimati intorno al 30% e i liberali guidati da Justin Trudeau, dati al 29%
L'uomo da battere si chiama Stephen Harper, ma non è detto che sconfiggerlo sia sufficiente per cambiare di segno il clima politico del paese e questo sia per la debolezza dei suoi avversari che per la deriva che sembra attraversare la società canadese.
Gli ultimi sondaggi nazionali in vista del voto di domani per il rinnovo del parlamento federale indicano un probabile testa a testa tra i conservatori di Harper, stimati intorno al 30% e i liberali guidati da Justin Trudeau, dati al 29%.
Seguono il centrosinistra del Nuovo partito democratico di Thomas Mulcair con il 26%, i Verdi e gli indipendentisti del Bloc québécois al 5%, anche se questi ultimi superano il 20% nella provincia a maggioranza francofona.
Molti osservatori ritengono però che già prima che si aprano le urne, un risultato questa campagna elettorale largamente dominata dal tema della sicurezza e dell'immigrazione sembra averlo già ottenuto, quello di mettere in soffitta il multiculturalismo che ha caratterizzato il paese fin dal secondo dopoguerra.
Giunto al suo quarto mandato consecutivo in nove anni, Harper ha infatti trasformato le elezioni in una sorta di referendum non solo sulla sua persona, ma anche sulla futura identità del Canada, cercando di sfruttare l'onda lunga dell'emozione suscitata nel paese dagli attentati terroristici perpetrati lo scorso anno a Ottawa e nella città di Québec da due aspiranti jihadisti e costati la vita ad altrettanti militari.
Convinto ammiratore di George W. Bush, Harper si è speso nel corso dei suoi primi anni di governo per difendere ad ogni costo la libera impresa, specie l'industria estrattiva dell'estremo nord del paese, opponendosi fermamente al protocollo di Kyoto, oltre a ridurre le tasse e tagliare il più possibile l'apparato statale.
Al punto che in vista del voto ben 150 tra personalità, associazioni ambientaliste e sindacati, tra loro anche Naomi Klein, Leonard Cohen, Neil Young, Donald Sutherland, gli Arcade Fire e il filosofo Charles Taylor, hanno firmato un manifesto in favore di «un Canada che difenda l'ambiente naturale e riduca le disparità sociali».
Sbrigati gli «affari», negli ultimi tempi il premier si è concentrato invece sui «valori», finendo per incarnare appieno l'anima più reazionaria della destra locale, quella che flirta con i movimenti contro l'aborto e i matrimoni gay, che cerca di affermare l'identità cristiana del paese e, soprattutto, che vuole chiudere definitivamente le porte del Canada agli «stranieri».
Neppure la tragedia del piccolo Aylan, la cui famiglia voleva raggiungere dei parenti che vivono a Vancouver, ha smosso la fermezza di Harper. Del resto, negli ultimi cinque anni l'ingresso dei richiedenti asilo è stato vincolato alla presenza di un privato o di un'associazione che ne prendesse in carico le spese, quella che il quotidiano progressista Toronto Star ha definito come un'autentica «esternalizzazione della solidarietà». Mentre per i lavoratori immigrati è stato posto un tetto di un massimo di quattro anni di residenza nel paese.
In questo clima, solo pochi mesi fa, al momento del varo della nuova legislazione antiterrorismo, un sondaggio ha rivelato come due terzi dei cittadini canadesi ritengano che il loro paese sia «impegnato in una vera guerra». A dare definitivamente fuoco alle polveri è stata però la vicenda di Zunera Ishaq, una giovane insegnante di origine pakistana che al termine di una lunga querelle giudiziaria si è vista riconoscere due settimane fa, da parte della Corte d'appello federale, la possibilità di partecipare alla cerimonia di acquisizione della cittadinanza canadese indossando il velo «islamico» che lascia scoperti solo gli occhi. L'«affare del Niqab» è diventato così il cuore della campagna elettorale, con i conservatori che ne hanno denunciato l'uso come una minaccia per il paese, ergendosi a «difensori dei valori canadesi», mentre i liberali e il centrosinistra si sono divisi al proprio interno sull'argomento.
Nel frattempo, alcuni blogger hanno invitato gli elettori a recarsi alle urne con delle maschere sul volto per denunciare «la fine della democrazia nel paese».
Al di là del paradosso, non si deve dimenticare il contesto in cui ha luogo una simile polemica, quello di un paese dove un abitante su cinque è nato all'estero, la proporzione più elevata di tutto il mondo occidentale e dove lo spazio pubblico si è costruito da oltre mezzo secolo nel segno dell'accoglienza e della tolleranza, in nome di un multiculturalismo che l'ex colonia britannica ha importato più da Londra che dagli Stati Uniti.
Nel Canada dove il diritto alla differenza è stato fino ad oggi regola, ai migranti ma anche ai rifugiati era chiesto di partecipare solo alla prosperità del paese, non ad un modello culturale o tantomeno religioso. Questo, almeno fino alle elezioni di domani.
di Guido Caldiron
Gli ultimi sondaggi nazionali in vista del voto di domani per il rinnovo del parlamento federale indicano un probabile testa a testa tra i conservatori di Harper, stimati intorno al 30% e i liberali guidati da Justin Trudeau, dati al 29%
L'uomo da battere si chiama Stephen Harper, ma non è detto che sconfiggerlo sia sufficiente per cambiare di segno il clima politico del paese e questo sia per la debolezza dei suoi avversari che per la deriva che sembra attraversare la società canadese.
Gli ultimi sondaggi nazionali in vista del voto di domani per il rinnovo del parlamento federale indicano un probabile testa a testa tra i conservatori di Harper, stimati intorno al 30% e i liberali guidati da Justin Trudeau, dati al 29%.
Seguono il centrosinistra del Nuovo partito democratico di Thomas Mulcair con il 26%, i Verdi e gli indipendentisti del Bloc québécois al 5%, anche se questi ultimi superano il 20% nella provincia a maggioranza francofona.
Molti osservatori ritengono però che già prima che si aprano le urne, un risultato questa campagna elettorale largamente dominata dal tema della sicurezza e dell'immigrazione sembra averlo già ottenuto, quello di mettere in soffitta il multiculturalismo che ha caratterizzato il paese fin dal secondo dopoguerra.
Giunto al suo quarto mandato consecutivo in nove anni, Harper ha infatti trasformato le elezioni in una sorta di referendum non solo sulla sua persona, ma anche sulla futura identità del Canada, cercando di sfruttare l'onda lunga dell'emozione suscitata nel paese dagli attentati terroristici perpetrati lo scorso anno a Ottawa e nella città di Québec da due aspiranti jihadisti e costati la vita ad altrettanti militari.
Convinto ammiratore di George W. Bush, Harper si è speso nel corso dei suoi primi anni di governo per difendere ad ogni costo la libera impresa, specie l'industria estrattiva dell'estremo nord del paese, opponendosi fermamente al protocollo di Kyoto, oltre a ridurre le tasse e tagliare il più possibile l'apparato statale.
Al punto che in vista del voto ben 150 tra personalità, associazioni ambientaliste e sindacati, tra loro anche Naomi Klein, Leonard Cohen, Neil Young, Donald Sutherland, gli Arcade Fire e il filosofo Charles Taylor, hanno firmato un manifesto in favore di «un Canada che difenda l'ambiente naturale e riduca le disparità sociali».
Sbrigati gli «affari», negli ultimi tempi il premier si è concentrato invece sui «valori», finendo per incarnare appieno l'anima più reazionaria della destra locale, quella che flirta con i movimenti contro l'aborto e i matrimoni gay, che cerca di affermare l'identità cristiana del paese e, soprattutto, che vuole chiudere definitivamente le porte del Canada agli «stranieri».
Neppure la tragedia del piccolo Aylan, la cui famiglia voleva raggiungere dei parenti che vivono a Vancouver, ha smosso la fermezza di Harper. Del resto, negli ultimi cinque anni l'ingresso dei richiedenti asilo è stato vincolato alla presenza di un privato o di un'associazione che ne prendesse in carico le spese, quella che il quotidiano progressista Toronto Star ha definito come un'autentica «esternalizzazione della solidarietà». Mentre per i lavoratori immigrati è stato posto un tetto di un massimo di quattro anni di residenza nel paese.
In questo clima, solo pochi mesi fa, al momento del varo della nuova legislazione antiterrorismo, un sondaggio ha rivelato come due terzi dei cittadini canadesi ritengano che il loro paese sia «impegnato in una vera guerra». A dare definitivamente fuoco alle polveri è stata però la vicenda di Zunera Ishaq, una giovane insegnante di origine pakistana che al termine di una lunga querelle giudiziaria si è vista riconoscere due settimane fa, da parte della Corte d'appello federale, la possibilità di partecipare alla cerimonia di acquisizione della cittadinanza canadese indossando il velo «islamico» che lascia scoperti solo gli occhi. L'«affare del Niqab» è diventato così il cuore della campagna elettorale, con i conservatori che ne hanno denunciato l'uso come una minaccia per il paese, ergendosi a «difensori dei valori canadesi», mentre i liberali e il centrosinistra si sono divisi al proprio interno sull'argomento.
Nel frattempo, alcuni blogger hanno invitato gli elettori a recarsi alle urne con delle maschere sul volto per denunciare «la fine della democrazia nel paese».
Al di là del paradosso, non si deve dimenticare il contesto in cui ha luogo una simile polemica, quello di un paese dove un abitante su cinque è nato all'estero, la proporzione più elevata di tutto il mondo occidentale e dove lo spazio pubblico si è costruito da oltre mezzo secolo nel segno dell'accoglienza e della tolleranza, in nome di un multiculturalismo che l'ex colonia britannica ha importato più da Londra che dagli Stati Uniti.
Nel Canada dove il diritto alla differenza è stato fino ad oggi regola, ai migranti ma anche ai rifugiati era chiesto di partecipare solo alla prosperità del paese, non ad un modello culturale o tantomeno religioso. Questo, almeno fino alle elezioni di domani.
Canada al voto, l'articolo de "Il Giornale"
Il Canada sceglie il futuro tra veli, scandali e rigore
di Elisabetta Pisa
Il liberale Trudeau in vantaggio nei sondaggi sul premier conservatore Harper. Ma a pesare saranno le politiche sull'immigrazione. E le tasse
Dal rilancio dell'economia alla lotta al terrorismo, dal velo islamico alla revoca della cittadinanza per chi si macchia di gravi reati.
Se questi sono stati i temi che in Canada hanno dominato il dibattito in vista delle elezioni federali di domani, nel rush finale della campagna elettorale l'attenzione degli elettori si è spostata su alcune rivelazioni che i favoriti alla poltrona di primo ministro stanno cercando di arginare. Ad avere qualche grattacapo sono il liberale Justin Trudeau e il conservatore Stephen Harper, a capo del governo in carica da quasi dieci anni, rispettivamente al primo e al secondo posto nei sondaggi elettorali con il 37% e il 31% dei consensi, seguiti nella corsa a tre da Thomas Mulcair, leader del Nuovo Partito Democratico (Ndp).
Mercoledì si è, infatti, dimesso il co-responsabile della campagna elettorale dei Liberali Dan Gagnier dopo che è venuta alla luce una sua email spedita a TransCanada, compagnia di costruzione di gasdotti, in cui si davano indicazioni su come esercitare attività di lobbying in caso di vittoria del Partito liberale. Una vicenda che ha riportato alla memoria lo «sponsorship scandal», uno scandalo sull'uso improprio di soldi pubblici e corruzione in Québec nei primi anni 2000. Anche su Harper all'inizio della campagna elettorale si erano allungate alcune ombre durante il processo al senatore Mike Duffy accusato di frode e abuso d'ufficio, ma il motivo di imbarazzo per lui negli ultimi giorni è stata la partecipazione a uno dei suoi incontri elettorali del discusso ex sindaco di Toronto, Rob Ford, che a suo tempo aveva ammesso l'uso di crack. Qualche giorno fa è stato diffuso un estratto di un libro in fase di pubblicazione, in cui si racconta di una telefonata in cui Ford minacciava di uccidere la moglie.
Domani notte (le prime ore del mattino di martedì in Italia) si saprà quanto gli ultimi avvenimenti avranno pesato sulla decisione di voto di 26 milioni di canadesi che dovranno eleggere 338 parlamentari e scegliere se voltare pagina o no. La campagna elettorale di Trudeau e Mulcair si è, infatti, giocata tutta sulla prospettiva di un reale cambio di marcia dopo quasi 10 anni di governo conservatore. Il Canada è tra i Paesi più ricchi del mondo, ma negli ultimi anni la crescita economica ha rallentato (con una parentesi di recessione nel primo quadrimestre del 2015) e la disoccupazione è salita al 7,1%: quest'anno si sono persi 35mila posti di lavoro nel settore petrolifero per il calo del prezzo del greggio e negli ultimi 10 anni sono 400mila quelli andati in fumo nel comparto manifatturiero. Sia ben chiaro, il Canada è destinato a far sempre perno sulla sua riserva di risorse naturali (petrolio e gas rappresentano il 10% dell'economia e il 25% delle esportazioni) ma non potrà più essere greggio-centrico. Insomma è il momento per i politici di immaginare un nuovo futuro, avere una nuova visione. I Liberali hanno puntato su Justin Trudeau per simboleggiare il cambiamento: a 44 anni si candida a guidare il Paese e parla con passione su come ridare slancio all'economia, ossia con investimenti in infrastrutture (strade e trasporti pubblici), garantendo così anche nuovi posti di lavoro, finanziati con tre anni di deficit di bilancio. Continuare con la politica del rigore, invece, è la proposta di Harper che promette di creare 1,3 milioni di posti di lavoro entro il 2020, riduzione delle tasse, apertura ai mercati asiatici. Nelle ultime settimane il primo ministro ha anche posto l'accento su una politica d'immigrazione di maggiore cautela e sulla questione del niqab: ha cercato di imporre il divieto alle donne musulmane di prestare giuramento, durante la cerimonia per diventare cittadine canadesi, con il volto coperto dal velo islamico. Nonostante sia stato sconfessato dalla Corte federale, i sondaggi hanno invece segnalato un aumento del suo consenso. La sua battaglia, cui si è aggiunta anche la proposta di revocare la cittadinanza ai condannati per terrorismo, ha però alimentato un sentimento anti-islamico che stride con la tradizione di pacifica convivenza e tolleranza di un Paese di migranti. Sul tema del velo islamico Thomas Mulcair si è posto al fianco delle donne musulmane, perdendo però terreno nei consensi. Il gradimento dell'Ndp - partito di centro-sinistra che vuole aumentare le tasse per le aziende ed è contrario all'apertura dei mercati - è, infatti, passato dal 30% al 24%.
di Elisabetta Pisa
Il liberale Trudeau in vantaggio nei sondaggi sul premier conservatore Harper. Ma a pesare saranno le politiche sull'immigrazione. E le tasse
Dal rilancio dell'economia alla lotta al terrorismo, dal velo islamico alla revoca della cittadinanza per chi si macchia di gravi reati.
Se questi sono stati i temi che in Canada hanno dominato il dibattito in vista delle elezioni federali di domani, nel rush finale della campagna elettorale l'attenzione degli elettori si è spostata su alcune rivelazioni che i favoriti alla poltrona di primo ministro stanno cercando di arginare. Ad avere qualche grattacapo sono il liberale Justin Trudeau e il conservatore Stephen Harper, a capo del governo in carica da quasi dieci anni, rispettivamente al primo e al secondo posto nei sondaggi elettorali con il 37% e il 31% dei consensi, seguiti nella corsa a tre da Thomas Mulcair, leader del Nuovo Partito Democratico (Ndp).
Mercoledì si è, infatti, dimesso il co-responsabile della campagna elettorale dei Liberali Dan Gagnier dopo che è venuta alla luce una sua email spedita a TransCanada, compagnia di costruzione di gasdotti, in cui si davano indicazioni su come esercitare attività di lobbying in caso di vittoria del Partito liberale. Una vicenda che ha riportato alla memoria lo «sponsorship scandal», uno scandalo sull'uso improprio di soldi pubblici e corruzione in Québec nei primi anni 2000. Anche su Harper all'inizio della campagna elettorale si erano allungate alcune ombre durante il processo al senatore Mike Duffy accusato di frode e abuso d'ufficio, ma il motivo di imbarazzo per lui negli ultimi giorni è stata la partecipazione a uno dei suoi incontri elettorali del discusso ex sindaco di Toronto, Rob Ford, che a suo tempo aveva ammesso l'uso di crack. Qualche giorno fa è stato diffuso un estratto di un libro in fase di pubblicazione, in cui si racconta di una telefonata in cui Ford minacciava di uccidere la moglie.
Domani notte (le prime ore del mattino di martedì in Italia) si saprà quanto gli ultimi avvenimenti avranno pesato sulla decisione di voto di 26 milioni di canadesi che dovranno eleggere 338 parlamentari e scegliere se voltare pagina o no. La campagna elettorale di Trudeau e Mulcair si è, infatti, giocata tutta sulla prospettiva di un reale cambio di marcia dopo quasi 10 anni di governo conservatore. Il Canada è tra i Paesi più ricchi del mondo, ma negli ultimi anni la crescita economica ha rallentato (con una parentesi di recessione nel primo quadrimestre del 2015) e la disoccupazione è salita al 7,1%: quest'anno si sono persi 35mila posti di lavoro nel settore petrolifero per il calo del prezzo del greggio e negli ultimi 10 anni sono 400mila quelli andati in fumo nel comparto manifatturiero. Sia ben chiaro, il Canada è destinato a far sempre perno sulla sua riserva di risorse naturali (petrolio e gas rappresentano il 10% dell'economia e il 25% delle esportazioni) ma non potrà più essere greggio-centrico. Insomma è il momento per i politici di immaginare un nuovo futuro, avere una nuova visione. I Liberali hanno puntato su Justin Trudeau per simboleggiare il cambiamento: a 44 anni si candida a guidare il Paese e parla con passione su come ridare slancio all'economia, ossia con investimenti in infrastrutture (strade e trasporti pubblici), garantendo così anche nuovi posti di lavoro, finanziati con tre anni di deficit di bilancio. Continuare con la politica del rigore, invece, è la proposta di Harper che promette di creare 1,3 milioni di posti di lavoro entro il 2020, riduzione delle tasse, apertura ai mercati asiatici. Nelle ultime settimane il primo ministro ha anche posto l'accento su una politica d'immigrazione di maggiore cautela e sulla questione del niqab: ha cercato di imporre il divieto alle donne musulmane di prestare giuramento, durante la cerimonia per diventare cittadine canadesi, con il volto coperto dal velo islamico. Nonostante sia stato sconfessato dalla Corte federale, i sondaggi hanno invece segnalato un aumento del suo consenso. La sua battaglia, cui si è aggiunta anche la proposta di revocare la cittadinanza ai condannati per terrorismo, ha però alimentato un sentimento anti-islamico che stride con la tradizione di pacifica convivenza e tolleranza di un Paese di migranti. Sul tema del velo islamico Thomas Mulcair si è posto al fianco delle donne musulmane, perdendo però terreno nei consensi. Il gradimento dell'Ndp - partito di centro-sinistra che vuole aumentare le tasse per le aziende ed è contrario all'apertura dei mercati - è, infatti, passato dal 30% al 24%.
Canada alle urne, vincerà ancora Harper?
Il Canada corre alle urne. Si decide oggi se sarà ancora Stephen Harper a dirigere il governo di Ottawa dopo lo scioglimento delle camere, avvenuto il 2 giugno per mano dello stesso Harper.
Per l'attuale premier la 'prima volta' sul più alto scranno della politica 'a nord del confine' avvenne nel 2006, quando i Conservatori si imposero sui Liberali dopo 13 anni di assenza dalla massima carica di governo. Harper aveva vinto le elezioni in gran parte sfruttando una serie di scandali che avevano colpito il partito Liberale e presentandosi come un politico nuovo, in grado di rilanciare l'economia del Canada. E se nel 2006 e nel 2008 vinse due elezioni anticipate, riuscendo però a formare solo un governo di minoranza, nel 2011, dopo un voto di sfiducia del Parlamento verso la sua legge finanziaria, si impose di nuovo nelle elezioni anticipate, ottenendo finalmente la maggioranza assoluta.
Ora però gli scandali hanno colpito anche il partito conservatore, in particolare quando è emerso che quattro senatori, tre dei quali nominati da Harper, avevano chiesto rimborsi spese in modo poco trasparente.
Al momento in testa ai sondaggi con il 32,6% c'è il New Democratic Party (NDP) di Thomas Mulcair, partito di centrosinistra, davanti al partito Conservatore (31,6%) e a quello Liberale (25,6%) di Justin Trudeau, figlio dello storico leader dei liberali Pierre Trudeau, primo ministro del Canada per 15 anni dal 1968 al 1984.
Per l'attuale premier la 'prima volta' sul più alto scranno della politica 'a nord del confine' avvenne nel 2006, quando i Conservatori si imposero sui Liberali dopo 13 anni di assenza dalla massima carica di governo. Harper aveva vinto le elezioni in gran parte sfruttando una serie di scandali che avevano colpito il partito Liberale e presentandosi come un politico nuovo, in grado di rilanciare l'economia del Canada. E se nel 2006 e nel 2008 vinse due elezioni anticipate, riuscendo però a formare solo un governo di minoranza, nel 2011, dopo un voto di sfiducia del Parlamento verso la sua legge finanziaria, si impose di nuovo nelle elezioni anticipate, ottenendo finalmente la maggioranza assoluta.
Ora però gli scandali hanno colpito anche il partito conservatore, in particolare quando è emerso che quattro senatori, tre dei quali nominati da Harper, avevano chiesto rimborsi spese in modo poco trasparente.
Al momento in testa ai sondaggi con il 32,6% c'è il New Democratic Party (NDP) di Thomas Mulcair, partito di centrosinistra, davanti al partito Conservatore (31,6%) e a quello Liberale (25,6%) di Justin Trudeau, figlio dello storico leader dei liberali Pierre Trudeau, primo ministro del Canada per 15 anni dal 1968 al 1984.
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